Letteratura

Laura Pugno: un bosco avvolto nel mistero

Seguo con una certa fedeltà le prove narrative di Laura Pugno, ma purtroppo mi trovo a dover ripetere un discorso che passa attraverso un percorso anch’esso fedele e ripetuto. Parto riconoscendo il valore di “Sirene”, un’opera del 2007 che costituisce un capolavor, nel filone poco frequentato dai nostri narratori, della fantascineza o meglio dello horror. E’ un esito che resterà, io stesso, se mai dovessi stendere una cronistoria della narrativa “millennial” gli darei tutto il risalto che merita. Ma le prestazioni successive mi sono sembrate avviate lungo una parabola discendente. Il loro difetto comune è di ridurre via via ìl quoziente di fuoriuscita da un andamento naturale-verosimile, lasciandosene invece riassorbire, forse per difetto di invenzione. O al contrario, e proprio a compenso di questo deficit, si ha il ricorso a fattori di arcano o di “meraviglioso” abbastanza scontati e risaputi. Ancora valido “Quando verrai”, dove il fattore aberrante stava in certe macchie della pelle che colpivano alcuni esseri, conferendo loro un segno di elezione o di dannazione. In “Antartide” la Pugno ha visitato una sindrome abbastanza frequentata ai nostri giorni, la tematica della buona morte, che oggi molti anziani affidano a qualche “terminator” o “acabador”, pagando congrui tributi per ottenere una eutanasia vietata dalle leggi correnti. Ma già “La ragazza selvaggia” andava maluccio, col tema frusto delle gemelle, cioè in sostanza di uno sdoppiamento, tra un’anima intelligente, civile, e un’altra invece rimasta allo stato selvaggio, quasi con rivisitazione della favola kiplinghiana di Mowgli, dell’uomo-ranocchio. Con questo recente “La metà di bosco” mi pare che la nostra Pugno tocchi il fondo, le consiglerei di sostare per qualche tempo per ricaricare le batterie e trovare invenzioni di trama più degne del suo curriculum. Protagonista, per modo di dire, data una sua incertezza e incongruenza di fondo, è tale Salvo Calvi, che si dice in preda a un esaurimento e a una conseguente insonnia, da cui però guarisce in seguito misteriosamente, forse per il fatto di recarsi, tra la vacanza e il soggiorno terapeutico, in un’isola greca, Haiki, pare davvero esistente. Là trova una vita delle origini, patriarcale, primitiva, anche perché trova ad accudirlo una matrona che sembra racchiudere in sé tutta la saggezza popolare insita in quelle isole. La matura signora si chiama Magdalini e risulta essere molto legata a un figlio adolescente, Nikos. Curiosamente, si realizza una coabitazione tra il nostro vacanziere in cerca di guarigione e quel giovanotto, costretti a vivere fianco a fianco, ma nei modi parchi e rozzi che si addicono a quell’esistenza patriarcale. Del resto Nikos ha, come giusto, una sua vita particolare, riempita dall’amore per una giovane, Cora, con cui progetta una fuga sentimentale, o esilio, o luna di miele, su un isolotto vicino alla sede principale del racconto, Krev. Questo è appena uno scoglio, occupato dalla “metà di bosco” annunciata nel titolo. Da questo momento hanno inizio le varie “rivisitazioni” non troppo ingegnose e felici cui la Nostra si dà con insistenza. Intanto, quella capatina su un’isola confinante sa tanto di naufragio alla Robinson Crusoe, o meglio, funziona come luogo arcano adatto a consumarvi orge e riti strani. Infatti l’episodio centrale dell’intera storia sta nella scomparsa di Cora, un po’ alla maniera di quanto succede nell’”Avventura” di Antonioni, o in “Picnic ad Hanging Rock” di Peter Weir, un film dominato anch’esso dalla scomparsa di una persona. Forse la Pugno avrebbe dovuto avere il coraggio di comportarsi allo stesso modo, di far sparire ogni traccia di Cora lasciandola avvolta nel mistero, ma invece, dopo faticose ricerche, ne fa ritrovare il cadavere. E si accenna perfino a una soluzione banale-verosimile, che cioè l’isola sia il rifugio di una schiera di contrabbandieri, indotti a eliminare una testimone pericolosa. Naturalmente basterebbe che Nikos “parlasse”, dicesse che cosa è successo davvero alla compagna del cuore, ma lui tace, favorendo così la soluzione del silenzio e della scomparsa misteriosa. Ma non del tutto, dato che poi Cora ritorna in spirito, come fantasma, e questa davvero risulta essere la carta più trita giocata dalla autrice. Molto ambigua anche la presenza, a dominare tutti gli eventi che si compiono in quelle terre, di uno strano padre-padrone, tale Hektor Neumann, non si capisce bene se nella parte di eudemone, propiziatore, o di cacodemone, di potenza ostile. Il guaio è che proprio la Pugno in definitiva è indecisa su quale ruolo far giocare a questi suoi vari personaggi.
Laura Pugno, La metà di bosco, Marsilio, pp. 139, euro 16.

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