Non so proprio che cosa abbia indotto Valeria Parrella a lasciare i territori sicuri dell’attualità che sapeva percorrere abbastanza bene per tentare invece le vie del romanzo storico, con tante titubanze e incertezze. Ricordiamo ancora il suo capolavoro assoluto, Lo spazio bianco, avvincente storiai di un parto prematuro che induce la madre a svolgere una battaglia contro il tempo per portare in salvo quella creatura venuta tropo presto. Ma anche prima e dopo questa vicenda di stretta attualità la Parrella ha bordeggiato abbastanza bene tra il vissuto di una proletaria che si afferma attraverso gli studi e la scuola, non dimenticando però la famiglia di onesti lavoratori da cui è uscita, e anche tessendo le sue vicende sessual-sentimentali. Insomma, una materia tipicamente legata a quello che io chiamo un realismo con due “neo”, non privo di efficacia, ora più ora meno. Qui invece la scrittrice arretra quasi di due millenni, ma senza fare gli studi richiesti per mettere in piedi una vicenda storica con gli appoggi filologici che ci vogliono. Questa storia avente un Lucio come protagonista fugge via da ogni parte, ritrovando qualche punto fermo solo quando il personaggio principale è appena un bambino, avvinto a una madre che lo tratta come tale e gli fa conoscere i trastulli, le piccole avventure degne della sua età. Ma poi spunta alle spalle un padre altolocato, che lo spinge verso Roma, a fare studi, ma molto sommari e imprecisati, alla corte della retorica di Quintiliano e della poesia di Marziale. Ci sarebbe una carta imponente da giocare, la riscrittura dell’immane tragedia dell’eruzione del Vesuvio. Ma la Parrella se la tiene in serbo, forse ha paura ad affrontarla, troppo grande per lei, poi alla fine si decide, mettendosi a rimorchio delle testimonianze di Plinio il Vecchio. Qui direi che addirittura la nostra candidata alla storia subisce qualche suggestione dalla tragedia di Chernobyl. Le vittime dell’eruzione muoiono dopo qualche giorno per aver aspirato troppe sostanze venefiche con la nube oscura che si è estesa, del tutto simile a un malefico fungo atomico. Quanto alla Fortuna del titolo, è il nome della nave su cui Lucio è imbarcato, e con cui affronta l’ immane catastrofe, alla ricerca della madre ingoiata dalla fosca nube. Ma soprattutto è un tentativo molto incerto di ripercorrere le orme di Plinio il Vecchio. In sostanza, chi è, il Lucio della storia? Un essere troppo timido e insicuro, o un baldo giovane pieno di fiducia nelle proprie forse? E c’è pure un velato cenno a un possibile rapporto omosessuale con un compagno di avventure. Insomma, la Parrella sembra come un naufrago sbarcato in una terra aliena e non ben cognita, dove si muove a scatti, non sapendo bene a chi rivolgersi, dove trovare qualche ancora di salvezza.
Valeria Parrella, La Fortuna, Feltrinelli, pp, 159, euro 16.