Leggo sempre su Artribune che per i suoi 90 anni a Michelangelo Pistoletto viene dedicata una mostra a Milano, Sala delle Cariatidi. Ben se lo merita, trattandosi dell’artista forse più creativo fra tutti, con un lungo curriculum alle spalle che parte dalla Pop Art, di cui lui e Piero Gilardi, altro torinese, sono stati gli unici esponenti in una mostra a Palazzo Grassi, accanto ai big statunitensi, mentre gli altri Pop nostrani, e in particolare i romani di Piazza del Popolo, venivano snobbati. Del resto già allora Pistoletto sceglieva per sé un volto di mobilità estrema, con quei suoi doppi ritratti, di cui, diciamo così, le spoglie fotografiche erano incollate sulla superficie del dipinto, che però era a specchio, e dunque i visitatori vi si potevano affacciare con piena mobilità. Gilardi allora era già in possesso della perfetta ricetta dei suoi tappeti-natura, in poliuretano, di cui però è rimasto prigioniero fino alla morte recente, anche se è stato ottimo teorico, capace di fare la fronda all’Arte povera prospettando contro di essa l’Anti-form che si stava sviluppando negli Usa, ma non era cosa per lui. Invece Pistoletto si affacciò con energia proprio al poverismo, venendo accolto in quella schiera, e dandone un’opera perfetta, la Venere degli stracci, dove un cumulo di stracci, come da titolo, attestava bene il poverismo, mentre la statua della dea, in copia conforme, insinuava già una volontà di andare oltre e di aprire agli anni 70, a quella che nella mia terminologia sarebbe da dirsi Ripetizione differente. Ma sarebbe troppo lungo seguire il nostro Pistoletto in una serie continua di cambiamenti di stile, come di un giocatore che getta sul tappeto sempre nuovi gettoni. Basterà ricordare il monumento che, all’uscita della Stazione centrale di Milano, attende ogni visitatore, la cosiddetta Mela integrata, dove il frutto, ingigantito alla maniera di Oldenburg, risulta solcato da una serie di rattoppi che ne denunciano il carattere artificiale, di mela uscita da qualche diavoleria tecnologica, di quelle che ci attendono in futuro. Pochi altri scultori sono stati in grado di erigere monumenti così significativi, penso ai rotoli macroscopici di Arnaldo Pomodoro, posti a contrassegnare tanti edifici pubblici. Ora pare che Pistoletto si ingegni a riprendere il motivo dell’infinito, una doppia otto, con degli avvolgimenti che si mordono la coda, fatti con dei tubolari variopinti, come strani mostri anfibi usciti dalle acque di un possibile diluvio universale, che senza dubbio non spaventa il nostro artista, in quanto si ritiene perfettamente in grado di controllarlo.
Michelangelo Pistoletto, a cura di Fortunato d’Amico, Milano, Sala delle Cariatidi