La Biennale del disegno di Rimini, giunta alla seconda edizione, sta assumendo proporzioni imponenti, merito di Massimo Pulini che l’ha voluta, nelle sue tre vesti, di Assessore alla cultura del Comune adriatico, di docente all’Accademia di belle arti di Bologna e di artista in prima persona, ben coadiuvato dalla principale sua collaboratrice, Annamaria Bernucci. Questa manifestazione guarda alla madre di tutte le Biennali, quella di Venezia, riprendendone la formula del decentramento in una pluralità di spazi, anche se beninteso le varie sedi riminesi non possono competere in magnificenza con quelle della Serenissima, ma hanno anche loro vari titoli di nobiltà, ben valorizzati dall’uso multiplo e di volta in volta appropriato che ne viene fatto. Si potrebbe pure dire che l’iniziativa riminese batte perfino la rivale in quanto abbraccia un arco storico di eventi artistici, come ne dice il titolo generale: “Da Guido Reni a Francis Bacon, da Andrea Pazienza a Kiki Smith”, e non è un bluff, questi autori prestigiosi sono davvero reperibili, tra le centinaia di presenze, di cui certo non potrò dare un elenco completo. Ma soprattutto il pregio migliore dell’iniziativa è di andare ben oltre i limiti del genere, di un disegno affidato a mezzi tradizionali come la matita o l’inchiostro o l’incisione. I partecipanti superano spesso e volentieri questi confini avvalendosi dei materiali più vari, e spaziando oltre i confini, infatti alle pareti o nelle stanze compaiono anche fumettisti, street artists e tante altra trasformazioni in atto, ben al di là del limitato identikit che sembrerebbe appartenere a questo mezzo nella sua conformazione più solita.
Un itinerario da consigliare a un visitatore potrebbe prendere le mosse da Castel Sismondo, in definitiva lo spazio più nobile e onusto di memorie tra i molti mobilitati per l’occasione, e come giusto, dedicato a presenze storiche, rintracciate in via diretta o tramite collezionisti, come è il caso della Collezione Ramo, col cui aiuto compaiono opere grafiche di Adolfo Wildt, Fortunato Depero, Domenico Gnoli, Enrico Baj, Maria Lai. Ma poi i curatori, Annamaria Bellucci in prima fila, intervengono in proprio, ed ecco gli appunti segreti ritrovati nello studio di Mario Sironi, che permettono di capire da dove venivano i suoi grandi, e così attuali, murali. Felice l’intitolazione data a una serie di disegni dello scultore Rambelli, il numero due, dopo Arturo Martini, nell’intera scultura del primo Novecento: “Il volume del segno”, straordinaria infatti è la forza con cui il tracciato grafico, nell’opera del Romagnolo, ruotando su se stesso, e spinto da una incontenibile bulimia, si rende adiposo come un pallone gonfiato. Andando verso la Piazza Centrale, merita una capatina il Teatro Galli che chiude il magico quadrilatero, dove si può ammirare una selezione del numero uno tra i nostri fumettisti, Andrea Pazienza, con la sua fantasia mobile e imprendible, pronta a dare stoccate in ogni direzione. Anche la nobile Biblioteca Gambalunga fa la sua parte, ospitando i lavori iniziali di Pino Pascali. quando lavorava per la pubblicità, e schiacciava le immagini riducendole a delle “sottilette”, per poi procedere a dare loro un’ampia volumetria “in alzato”. Accanto, un grafico per la pelle come Tullio Pericoli, che si porta dietro questa vocazione anche quando la rimpingua con la pittura. Ma certo, il cuore della Biennale si trova nel Museo della città, che ha ingoiato i tre piani di un vecchio ospedale rendendoli del tutto simmetrici ed equipollenti tra loro, e così apprestando una delle più ampie sedi espositive del nostro Paese, con una serie di stanze e corridoi, dove le presenze, a decine, si possono presentare al meglio, magari staccandosi dalle pareti e invadendo perfino i pavimenti, o allargandosi in ampi murali. Pullni e Bernucci si sono presi un piano a testa, lasciandone uno al Losavio, gallerista modenese. Qui, tra presenze ignote che si scoprono con piacere, ne ritrovo altre ben note, provenienti da tutte le generazioni presenti e passate, e dalle più varie tendenze, saluto quindi di passaggio Carlo Cremaschi, Ericailcane, Francesca Ghermandi, Alessando Pessoli, Nicola Cucchiaro, Laurina Paperina, Vittorio D’Augusta, membri di un coro giustamente polifonico, ognuno intento a suonare il proprio strumento. Come se non bastasse l’occupazione sistematica di tutti i luoghi urbani possibili, questa Biennale davvero vorace va a piantare le sue bandierine perfino in località vicine, come Longiano, Cortignola, Sogliano, con un coraggio che non si riscontra neppure nella regina madre, la Biennale veneziana.
Rimini 2016. Profili del mondo, Rimini, sedi varie, fino al 10 luglio.