Ho detto bene dei romanzi di Helena Janeczek ogni volta che mi è capitato di incontrarli, come è avvenuto per la prima volta con “Le rondini di Montecassino” di cui avevo affidato una recensione positiva a “Tuttolibri”, supplemento della “Stampa”, da cui poi sono stato allontanato per cause non ben precisate, e infine, parlando della “Ragazza con la Leica” alla sua uscita, nel 2017, ma costretto a valermi ormai di questa sede privata, lo avevo dichiarato degno di incassare tutti i premi in palio, come infatti era avvenuto l’anno dopo con la vittoria nello Strega. Ora sono in presenza di un prodotto più ambiguo, “Cibo”, che mi pare appartenere a un primo tempo, uscito infatti già nel 2002, quando la nostra autrice era già in pieno possesso della sensilità di muoversi sul filo di vite comuni, ma al momento le mancava l’astuzia di mandarle a sbattere contro eventi storici di grande peso, facendo saltar fuori faville da quello scontro tra i’epico e il banale. Però nell’attuale edizione l’opera ha avuto un trattamento supplementare, anche qui alla ricerca dell’evento drammatico che in prima istanza le era sfuggito, o meglio, si dovrebbe andare a verificare se già allora queste sue esistenze comuni erano messe alla prova col il dramma della caduta delle Twin Towers, e in particolare con la tragedia delle persone che per sfuggire alle fiamme si sono buttate giù dai piani più alti dei due grattacieli. Nel complesso questa lunga cronistoria mi ricorda un classico del teatro, e poi del cinema, il francese “ Le Bal”, poi divenuto, in una eccellente trasposizione cinematografica del nostro Scola, “Ballando ballando”, altra tensione e temperatura rispetto all’odierna, frivola “Ballando sotto le stelle”. Infatti sia nell’originale francese sia nella ripresa filmica nostrana si trattava di ripercorrere la tragica storia del periodo tra fine anni Trenta al dopoguerra, con una recitazione senza parole, affidata soltanto a scene di danza via via ispirate ai balli delle mode successive. Così pure in questo brogliaccio della Janeczek alcune protagoniste femminili passano gli anni, e affrontano i drammi esistenziali delle loro vite attraverso i vari cedimenti, o resistenze, alle lusinghe del cibo, in una tensione continua tra bulimia e anoressia, che trova anche un riscontro in vicende sessuali, o nella loro assenza. Una cronaca che rischia di impaludarsi in un certa piattezza e monotonia, per quanto in buona misura prevista e voluta, però con alcuni picchi, come quando la protagonista principale partecipa al funerale del padre, con un relativo accompagnamento di riti funebri, tra cui non mancano i pasti e le bevute. E poi, come già detto, la Janeczek supera la staccionata che si era imposta al primo uscire del romanzo, ne estende i limiti, andando alla ricerca di elementi drammatici che servano proprio a insaporire il cibo che ci viene servito, e dunque, dopo una attenta ricognizione di quanto avvenuta alla caduta delle Due Torri, si spinge in avanti, fino a un altro evento di non minore portata quale il fallimento della grande Banca Lehmann Brothers. Tutto questo pur sempre “ballando ballando”, pardon, mangiando mangiando, come avviene un certi giochi di prestigio che obbligano a compiere movimenti arrischiati ma mantenendo in equilibrio un qualche oggetto senza farlo cadere. Siamo in presenza, insomma, di una specie di scommessa, a narrare a tutto tondo ma senza scostarsi dal motivo di fondo del cibo, e in buona misura la Nostra ce la fa ancora una volta, ma speriamo che, più che pensare al recupero di vecchi manoscritti, si sia ormai accinta a impostare nuove storie, e soprattutto abbia individuato il nocciolo tragico attorno a cui coagularle.
Helena Janeczek, Cibo. Guanda, pp. 284, euro 17.