Da tempo vengo annunciando che una delle “oscillazioni del gusto” giustamente preconizzate da Gillo Dorfles ora ci porta a un rilancio della pittura, dopo esserci dilungati troppo nella smaterializzazione del post-concettuale. Per esempio, mi sono servito della rubrica d’arte di nuovo concessami dall’”Unità” per segnalare i casi di Alessandro Roma e di Pierpaolo Campanini, assieme a taluni validi aspetti di Wall painting condotti sui muri pubblici. Del resto, io stesso, nel mio piccolo, costituisco un caso del genere, con la pittura cui mi sono riaffacciato mezzo secolo dopo, volta a ridare consistenza materica ai responsi pur sempre presi col mezzo “freddo” del cellulare. Ora posso aggiungere a questa serie crescente una giovane artista, Katarina Janeckova, 1988, proveniente da Bratislava, Slovacchia, in mostra a Trento, presso l’amico Giordano Raffaelli, cui mi legano tanti rapporti, e soprattutto il fatto che sa tenersi fuori da ogni “aesthetical correctness”, risultando cioè capace di impegnarsi proprio su maestri del pennello, a cominciare da Salvo. E gli è al fianco un attento promotore di un simile trend quale Luca Beatrice. In fondo, per situare la produzione di questa giovane artista posso rimandare a una mia recensione, apparsa su questo blog, dedicata al grande Matisse, in cui però denunciavo la sua progressiva schematizzazione delle immagini, fino a troppo nudi geroglifici, oltre i quali non era più possibile procedere, oppure restava solo la prospettiva dei “Writers”, cioè una “segnificazione” ossificata delle immagini. Per cui, forse, era opportuno fare qualche passo indietro, rimpinguare il bottino, accantonare il passo estremo di Matisse e recuperare il suo antagonista Bonnard. Ebbene, la nostra Janeckova è appunto una bonnardiana dei nostri giorni, che cioè da un lato ingrassa le forme, dà loro nutrimento, osa soffermarsi su carni nude, stanze con vasi di fiori, coltri sgualcite e tanti altri dettagli da pittura di interni, però lo fa con passo agile, e tenendo ben presente il mondo dei prodotti sia pubblicitari che televisivi. Insomma, questo nuovo repertorio pittorico si deve collocare nel regime del “fast”, piuttosto che dello “slow”, o diciamo che è tutta una questione di gradi e di livelli, non bisogna spingersi fino a un rifacimento del reale troppo “leccato” e conforme, ma neanche avere troppa fretta, ridurlo a una stenografia affrettata, rinunciataria rispetto ai piaceri che possono venire da epidermidi, stoffe e quant’altro. Utile anche, a questo proposito, la capacità di variare le dimensioni, passando da formati quasi di miniatura a improvvisi “blow up”, con rapidità e disinvoltura, che è anche il pronto passaggio da stesure abbastanza vaste, estese, dilaganti, a tracciati, invece, leggeri, come rapidi appunti di lavoro. A questo punto, suggerisco all’amico Raffaelli, magari con l’aiuto di Beatrice, di mettere in programma una vasta rassegna di tutti questi ritorni della vecchia signora sulla scena, che ormai costellano il panorama, non solo nostrano ma planetario.
Katarina Janeckova, How to Make a Bear Fall in Love, a cura di Luca Beatrice. Trento, Galleria Raffaelli, fino al 20 settembre.
Da tempo vengo annunciando che una delle “oscillazioni del gusto” giustamente preconizzate da Gillo Dorfles ora ci porta a un rilancio della pittura, dopo esserci dilungati troppo nella smaterializzazione del post-concettuale. Per esempio, mi sono servito della rubrica d’arte di nuovo concessami dall’”Unità” per segnalare i casi di Alessandro Roma e di Pierpaolo Campanini, assieme a taluni validi aspetti di Wall painting condotti sui muri pubblici. Del resto, io stesso, nel mio piccolo, costituisco un caso del genere, con la pittura cui mi sono riaffacciato mezzo secolo dopo, volta a ridare consistenza materica ai responsi pur sempre presi col mezzo “freddo” del cellulare. Ora posso aggiungere a questa serie crescente una giovane artista, Katarina Janeckova, 1988, proveniente da Bratislava, Slovacchia, in mostra a Trento, presso l’amico Giordano Raffaelli, cui mi legano tanti rapporti, e soprattutto il fatto che sa tenersi fuori da ogni “aesthetical correctness”, risultando cioè capace di impegnarsi proprio su maestri del pennello, a cominciare da Salvo. E gli è al fianco un attento promotore di un simile trend quale Luca Beatrice. In fondo, per situare la produzione di questa giovane artista posso rimandare a una mia recensione, apparsa su questo blog, dedicata al grande Matisse, in cui però denunciavo la sua progressiva schematizzazione delle immagini, fino a troppo nudi geroglifici, oltre i quali non era più possibile procedere, oppure restava solo la prospettiva dei “Writers”, cioè una “segnificazione” ossificata delle immagini. Per cui, forse, era opportuno fare qualche passo indietro, rimpinguare il bottino, accantonare il passo estremo di Matisse e recuperare il suo antagonista Bonnard. Ebbene, la nostra Janeckova è appunto una bonnardiana dei nostri giorni, che cioè da un lato ingrassa le forme, dà loro nutrimento, osa soffermarsi su carni nude, stanze con vasi di fiori, coltri sgualcite e tanti altri dettagli da pittura di interni, però lo fa con passo agile, e tenendo ben presente il mondo dei prodotti sia pubblicitari che televisivi. Insomma, questo nuovo repertorio pittorico si deve collocare nel regime del “fast”, piuttosto che dello “slow”, o diciamo che è tutta una questione di gradi e di livelli, non bisogna spingersi fino a un rifacimento del reale troppo “leccato” e conforme, ma neanche avere troppa fretta, ridurlo a una stenografia affrettata, rinunciataria rispetto ai piaceri che possono venire da epidermidi, stoffe e quant’altro. Utile anche, a questo proposito, la capacità di variare le dimensioni, passando da formati quasi di miniatura a improvvisi “blow up”, con rapidità e disinvoltura, che è anche il pronto passaggio da stesure abbastanza vaste, estese, dilaganti, a tracciati, invece, leggeri, come rapidi appunti di lavoro. A questo punto, suggerisco all’amico Raffaelli, magari con l’aiuto di Beatrice, di mettere in programma una vasta rassegna di tutti questi ritorni della vecchia signora sulla scena, che ormai costellano il panorama, non solo nostrano ma planetario.
Katarina Janeckova, How to Make a Bear Fall in Love, a cura di Luca Beatrice. Trento, Galleria Raffaelli, fino al 20 settembre.