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In morte di Giorgio Marconi

In morte di Giorgio Marconi

Leggo con infinito dolore della scomparsa di Giorgio Marconi, sapevo peraltro che da tempo stava male, vittima di un volgare incidente, credo nel suo studio all’ultimo piano della sua Galleria, si era rovesciato nella sedia a rotelle riportando un danno inguaribile. La  nostra conoscenza risaliva agli anni ’60, era stato Romagnoni, purtroppo scomparso molto prima di lui, a esortarmi a visitate Giorgio nella sua bottega di semplice corniciaio, credo ereditata dal padre, ma poco alla volta da quella bottega di solido artigianato, di cui non ha mai voluto disfarsi, si era allargato occupando tutti gli spazi dell’edificio, posto in via Tadino, dal sotterraneo al pianterreno ai due piani elevati. Era per me un piacere fargli visita ogni volta che mi recavo a Milano, e gli devo essere grato perché mi permise di occupare tutti i quattro livello del suo Studio (dizione che aveva preferito a quella più comune di Galleria) per ospitare una delle mostre più importanti della mia carriera, a cui avevo dato il nome di Ripetizione differente e in cui,  secondo il mio  stile, rovesciavo le tendenze del  momento. Ero stato un convinto sostenitore della rivoluzione del ’68, anche senza aderire in toto all’Arte povera di Celant, anche se come lui, e forse ancor più, credevo nell’avvento del comportamento, fino a tenere a battesimo questa nozione nella Biennale di Venezia del ’72, ma poi mi ero convinto che era arrivata l’ora di rovesciare il pendolo e di invertire lo sguardo, abbandonando l’eredità di Duchamp per seguire piuttosto quella del nostro De Chirico. Infatti nel sotterraneo della Studio feci disporre un allestimento di Kounellis in cui l’artista greco-romano faceva comparire il corvo di Poe assieme a busti  classici e ad altri simboli di  ritrovata classicità, mente  nei piani soprastanti ponevo la squadra dei molti artisti di Marconi impegnati a seguire la Pop Art in stile inglese, come Adami e Tadini, mentre di poveristi  patentati vi erano ammessi solo quelli che come Kounellis, partecipassero a quella svolta. E quindi scelsi Paolini, forse il numero uno di quella inversione di marcia, e Fabro, impegnato nella rivisitazione di un  classico dell’architettura. Ma soprattutto fui in grado di porre in quella mostra i due primi della classe tra  i giovani, gli unici che a quell’’altezza avessero già operato la svolta, Luigi Ontani e Salvo, e nessun altro, perché tutti gli alti non erano ancora arrivati a quel punto, né Carlo Maria Mariani, che poco dopo sarebbe arrivato da buon terzo, e  nel nome degli Anacronisti, a quella medesima svolta, e tanto meno i futuri Transavanguardisti di Bonito Oliva, allora per lo più fermi a un  livello di  Narrative Art, cioè a un  misto di disegnini e di foto. Da lì ricavai l’intero gruppo che chiamai del Nuovi-Nuovi, e che  Marconi mise alla prova, soffermandosi in definitiva sul solo Aldo Spoldi. Ma un tratto di Marconi è sempre stato quello di massima coerenza e fedeltà nelle sue scelte, Un abbondante decennio dopo  mi permise di ripetere, con  gli  stessi nomi e quasi con le stesse opere, quella  mostra, che fu molto fortunata, anche perché io la potei accompagnare  con la quasi simultanea comparsa sulle colonne dell’Espresso in quanto titolare della rubrica d’arte. Ricordo con commozione i mille dialoghi avuti con Giorgio, nella sua stanza in alto,  sia per visitare le mostre sempre puntuali e attuali che egli presentava nelle sue sale, sia per discutere di tanti altri argomenti. Fra l’altro, mandato via dall’Espresso, ero  approdato all’Unità, dove stendevo articoli di cui lui era pronto ed efficace lettore. Fui anche tra quelli che disapprovarono la sua decisione di abbandonare troppo  presto le redini del suo impero lasciandole al figlio quasi omonimo, Giò, che però era impreparato alla successione, tanto che Giorgio quelle redini se le è riprese, trovando però un’ottima soluzione al figlio, assicurandogli uno spazio nella medesima via Tadino, dove egli si è fatto le ossa e ha imparato a procedere in proprio. Ora, come era destino, si troverà a reggere sul suo capo l’intera eredità, compreso il celebre  Studio, ma io non avrò più quei colloqui sereni e rassicuranti col padre, ho perso insomma una delle mie guide  spirituali.

 

 

 

 

 

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