Chi avrà un po’ di pazienza potrà leggere nel prossimo mio pollice sull’”Immaginazione” la classifica da me redatta sull’esito del Premio Strega, in cui, neanche dirlo, ho messo all’ultimo posto il primo arrivato, Desiati, a giudizio di una giuria di inesperti o di seguaci di occulti interessi. Vincitrice avrebbe dovuto essere Veronica Raimo con il suo Niente di vero, ma forse ancor più l’affermazione avrebbe potuto andare alla Ranieri e al suo Stradario aggiornato di tutti i mieibaci, se non si fosse presentata troppo tardi a quell’appuntamento. In mezzo stanno tutti gli altri, del resto già da me valutati in blog antecedenti. Avevo tenuto in sospeso il romanzo di Marco Amerighi, Randagi, cui, ora che l’ho letto, credo che potesse spettare il secondo posto. Anche se, diciamolo pure, nomen omen, vale a dire che è proprio la vicenda qui narrata ad apparire “randagia”, incerta nella conduzione, e soprattutto nel porto di approdo. Ma ci sono parecchie cose che funzionano al modo giusto, a cominciare dai due fratelli, Pietro e Tommaso, con le loro alterne vicende, che ricordano percorsi molto simili condotti da Enrico Brizzi, ma con mano più sicura e consistenza di esiti. Qui i due si dividono le sorti, Pietro, non troppo favorito da madre natura, appare il debole, l’altro è più intraprendente, ma destinato a una brutta fine, in un disastro automobilistico, descritto, bisogna riconoscere, con mano ferma e incisività di dettagli, Come pure appare abbastanza felice il ritrattoi di famiglia, con un padre, detto il Mutilo, per una ferita di guerra riportata in Etiipia, poi affondato nel vizio, facendosi scudo e copertura proprio di quella sua infermità. Con una moglie, e madre dei due rampolli, che fa del suo meglio per mandare avanti la baracca sempre malferma, con i figli che scappano via da ogni parte quasi per consentire alla sorte di colpirli meglio, dovunque vadano, Diciamo pure che anche in questo caso c’è un po’ un’aria di letteratura alla Erasmus, con tutte quelle peregrinazioni e borse di studio di cui non è facile tenere il conto. E c’è pure una ninfa egeria, Dora, ma che funziona a intermittenza, talvolta vicina e presente, poi subito lontana e assente. Da tutto ciò deriva proprio il carattere “randagio” dell’intera vicenda, che ci trasporta da un punto all’altro di un vasto scenario, tenuto insieme dalle email a cui i due fratelli affidano le rispettive confessioni, confuse e incerte quelle di Tommaso, che pure dovrebbe essere il più forte e sicuro tra i due, vaghe e reticenti quelle dell’interlocutore, che però si salva dai vari infortuni proprio per questa sua disponibilità e apertura ai casi della vita, tanto che alla fine di una specie di tombola spetta a lui il premio di assicurarsi l’amore, benché irrequieto e scapricciato, di Dora.
Marco Amerighi, Randagi, Bollati Boringhieri, pp. 384, euro 18.