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Il mistero di Caravaggio

Il mistero Caravaggio

   Apprendo da varie parti che c’è stata una ristampa dell’antologia essenziale di Roberto longhi, Da Cimabue a Morandi, addirittura col coraggio di dotarla di illustrazioni, compito arduo. Tra tante tesi accettabili, ce ne è una che non mi ha mai convinto e che invece trovo ribadita in un articolo di Claudio Strinati sul Robinson di domenica 3 novembre, E Caravaggio andò a scuola dai bresciani. Questi ipotetici maestri del Merisi sarebbero i soliti Romanino, Savoldo e Moretto, ma io mi chiedo quale rapporto poteva esserci tra questi personaggi paludati e solenni e invece i ragazzi di vita del primo Caravaggio, appena giunto a Milano. Ho già detto molte volte della mia convinzione che in proposito Longhi si sia preso un abbaglio, trascinato dalla sua risoluzione  di ingigantire il ruolo della Padania, mentre da quei ritratti emerge un fatto contrario, che quei nostri artisti nordici guardavano giustamente a Nord, a Durer, mentre il giovane Merisi, appena giunto a Rona, si svincolò del tutto da quella tradizione, coi suoi ragazzi seminudi, compagni di bevute e di gozzoviglia, tutto il contrario insomma della solennità dimostrata  da quei ritratti provenienti dalle nostre province nordiche, lontani quindi anche dalla “maniera moderna”.  Resta dunque enorme il problema di capire da quale fonte il Merisi fosse ispirato nel concepire    quelle sue immagini così ferme, compatte, e soprattutto in abiti dimessi, o privi del tutto di questi. Forse ci è arrivato per conto suoi? Certo che anche un influsso dai veneziani resta escluso, forse quale fiammingo sbandato e giunto casualmente a Roma. Il bello è che quella prima maniera è stata anche,  a mio parere , la più grande del Nostro, poi corrosa ai fianchi dalla progressiva invasione delle tenebre, che certo hanno dato drammaticità alle scene, ma hanno anche turbato quel discorso così limpido e perfettamente illuminato degli inizi

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