Sono decisamente un estimatore di una valida iniziativa di “Repubblica” di inserire in qualche suo numero uno dei racconti di Camilleri, della serie “Le storie di Vigata”, nella disperata ricerca di mantenere il numero dei lettori. Trovo che in queste mini-storie lo scrittore siciliano manifesta il meglio di se stesso, libero dal compito di fare in grande, costretto quindi, intanto, a porre accanto alla sua creatura, Montalbano, qualche tediosa storia d’amore, e personaggi-macchiette, anche se ben sostenuti dai relativi attori. Qui invece egli ritorna alle radici stesse della nostra tradizione di racconti brevi, perfino al Novellino, o alle storie del Boccaccio, quando anche lui è disimpegnato e deciso ad assumere panni leggeri e frivoli. Si aggiunga la questione linguistica. In genere Camilleri è un virtuoso del bilinguismo, alla maniera di Gadda, sempre oscillante tra un narrare in lingua corretta e l’inserimento di forme dialettali. In questi casi, confortato dalla dimensione ridotta, si affida per intero al dialetto, come volendo apparire nella veste di un affabulatore popolare che si rimette per intero al piacere dei casi che viene dipanando. Il che costringe certo il lettore a un compito di decrittazione delle forme dialettali, ma è una impresa di decodifica in definitiva piacevole, quasi dal sapore enigmistico di caccia alle soluzioni nascoste. Ma soprattutto, conta la catena degli eventi, che scorrono alimentandosi in felice sequenza, uno dopo l’altro, a getto continuo. In “Teresina” abbiamo la diabolica capacità criminale di una fanciulla dall’apparenza angelica che però, uno a uno, fa fuori tutti coloro che la ostacolano verso il fine ultimo di appropriarsi di un’eredità, andata ingrossandosi da un passaggio all’altro di mano in mano. E’ una catena del male, ma tenuta in una chiave leggera, godibile, volutamente paradossale. Forse ancora meglio “Il terremoto del ‘38”, titolo a dire il vero molto parziale perché in quell’evento si era prodotto solo un piccolo guaio, si era scoperchiata la stanza dove un federale dell’era fascista, austero predicatore della caccia ai profittatori, aveva in realtà accumulato un tesoro di cibarie. Ma questo incidente funziona appena come prova generale, poi la catastrofe ritorna in forme più aggravate in un più rovinoso terremoto del dopoguerra, obbligando un polipaio di esistenze abbarbicate in un condominio a mettersi in fuga. E’ la vecchia soluzione, già cara a Lesage e ad altri narratori di peripezie settecentesche, il diavolo che scoperchia le case e mette a nudo i vizi, gli accoppiamenti irregolari e impensati. L’autore si diverte, e fa tanto divertire pure noi, andando a frugare in quel ginepraio smisurato visitandolo appartamento per appartamento, e dimostrandosi in possesso di un inesauribile spirito di inventiva nel moltiplicare casi, relazioni, vincoli sessuali.