Arte

I ricami luminosi di Arienti

Ho sempre seguito con molta adesione l’arte di Stefano Arienti, da quando nel 1990 lo avevo invitato all’”Aperto” della Biennale di quell’anno. Non ho ancora visitato l’attuale edizione, ma non ho mai mancato di manifestare il mio consenso a quell’articolazione votata ai nuovi esperimenti sperando di vederla riapparire, mentre purtroppo nelle ultime edizioni si è fatta sparire la distinzione tra la sede dei Giardini e quella delle Corderie. In quell’occasione credo di avere scelto bene, oltre che a favore di Arienti, anche di altri di quella fase post-concettuale, tra cui il grande Jeff  Koons. Già in quel momento Arienti esprimeva la sua migliore vocazione che è di lasciare tracce, incisioni, segni di una sua leggera presenza. In quel momento si trattava di pannelli di polistirolo, ma anche in seguito sarebbero stati materiali di superficie, carte, cartoni, pronti a ricevere schemi grafici, o addirittura a venire piegati, magari a organetto, per ricavarne delle stelle, delle efflorescenze, come al seguito di qualche gioco infantile o esercizio di destrezza. Ora devo dire la mia approvazione per uno di questi interventi delicati, ispirati dalla luce fatta filtrare da inferriate di uno spazio comunicante con l’esterno. A questo modo i raggi di luce vengono infranti da quelle griglie naturali, e l’artista è pronto a trarne profitto, rincalzando quelle esili ombre con pennellate più risolute e cromaticamente esplicite. E’  in sostanza una forma eterodossa di disegno, infatti non per nulla questa esposizione viene proposta in una Drawing Hall fondata a Bergamo. Nasce così  la provvida collaborazione tra un effetto naturale di luce e un sapiente ricalco manuale effettuato dall’artista, del tutto in linea con tanti altri suoi interventi, sempre volti a inseguire fenomeni eterei, sospesi nell’aria, o nutriti da sottili fenomeni vegetali, efflorescenze fragili e delicate, liane spioventi. C’è in Arienti un attento esploratore di ogni possibilità di andare a distillare frutti squisiti, sempre in una terra di mezzo tra la natura, fino magari a ricordare le ninfee di Monet, e l’artificio, in una alleanza, in un stretta collaborazione tra le due famiglie, foriera di esiti sempre brillanti, anche perché tenuti nel vago, nel sospeso, perfino nel magico.

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