Devo essere grato alla Società Editrice Milanese che, avendo apprezzato una mia recensione dedicata all’ultima opera di David Leavitt, “Il decoro”, mi ha spedito altri titoli dell’autore statunitense, cui posso attingere, quando magari mi sento stanco di parlare dei rozzi prodotti di casa nostra. Mentre Leavitt è leggero, ricorda da vicino il nostro Arbasino, con la stessa abilità nel far vivere i suoi personaggi tra High e Mid Cult. Taluni di loro sono privilegiati, magari viaggiano, vengono anche in Italia, altri invece non riescono a scordare le squallide abitazioni dei quartieri newyorkesi, come Queens, da cui sono partiti, e che sono sempre in minacciosa attesa di loro passi falsi che li facciano ricadere nella mediocrità. In comune con Arbasino il nostro Leavitt ha pure la grazia, la nonchalance che ci mette nel frequentare i sessi, tra cui quello intermedio della omosessualità ha certo una prevalenza, ma non senza ambasce, tormenti, nei vari personaggi in campo, sempre sospesi se fare il salto di genere o se rientrare nella norma di matrimoni, peraltro tristi, disarmanti, privi di allettamenti. In questa animata vicenda di sessi plurimi, aperti a tante combinazioni, un ruolo di spicco spetta pure agli animali, che intervengono quasi alla pari. C’è il caso della signora che, avendo salvato un pulcino, se lo tiene al caldo nel seno, ma non riesce ad alimentarlo. E ci sono cani e gatti, con liti tra confinanti. Gli animali domestici fuggono da casa, invadono i terreni dei vicini, e uno di questi lascia che un micio vagabondo venga sbranato dai cani feroci che alleva a difesa della sua privacy. Ne viene un conflitto, che determinare nel padrone del micio orrendamente massacrato un sentimento di protesta, fino a pensare di commettere un omicidio contro il vicino. Ma poi no, questo non è un mondo di odi mortali, i vari drammi si ricompongono. Infatti anche questo dirimpettaio così bellicoso a un certo momento bussa alla porta del preteso vendicatore, confessa tutta la miseria della sua vicenda umana, vittima del suo essere un temperamento troppo iroso che si fa odiare da tutto il vicinato. E dunque ci deve essere un momento di pacificazione, di accettazione anche nei confronti di questo reprobo. Mi sono dimenticato di menzionare il titolo che Leavitt ha dato a questo suo mazzo di racconti ben assortiti, “Un luogo in cui non sono mai stato”, ma è una provocazione, una dichiarazione per assurdo, in quanto il destino dei suoi personaggi è di essere dei giramondo, sempre inquieti, sempre alla ricerca di buon sesso, di buon cibo, di paesaggi e ambienti ameni e rasserenanti.
David Leavitt, Un luogo dove non sono mai stato, Società Editrice Milanese, pp. 233, euro 15.