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I due Filippi

I due Filippi

I Musei Capitolini di Roma propongono una mostra molto utile che permette di distinguere tra i due Filippi, padre e figlio. Le mie preferenze vanno senz’altro al primo dei due (1406-1469), che è stato un valido membro di quella che il Vasari ha definito prima maniera del Quattrocento, fatta di coetanei e seguaci dell’Alberti, come lui pionieri nell’applicazione seppur in nuce dei novissimi dettami della prospettiva. Del resto, non per niente gli si attribuisce il merito di essere subentrato a Masaccio, senz’altro il numero uno di quella situazione, nel portare a termine la Cappella Brancacci. E in ogni caso i dipinti di Filippi padre sono spigolosi, fatti di muretti che valgono proprio per dare prova di aver inteso i precetti albertiani, con interni pireni di quinte, di stipiti contro cui si deve addirittura andare a sbattere con le gambe, e dunque, duri, taglienti. Forse appunto il solo Masaccio è degno di essergli paragonato, mentre altri compagni di ardimento come il Beato Angelico e Paolo Uccello bisogna andare a sorprenderli in momenti di grazia, di ardimento avanzato. Tutt’altro il destino del figlio, che del resto gli nasce in tarda età e quasi abusivamente, in quanto contravvenendo agli ordini ecclesiastici assunti egli ingravida una monaca. In ogni caso, il figlio (1457-1504) appartiene alla terza maniera del Quattrocento, la meno felice, la più  statica e in ritardo sul quadrante del progresso, si pensi che Filippino nasce addirittura due anni dopo Leonardo, l’autore della grande svolta che apre risolutamente alla maniera moderna, sempre per dirla col computo esatto e prezioso del Vasari. Infatti, mentre il padre è stato vicino al grande Masaccio, il figlio viene considerato una creatura del Botticelli, ma come lui risulta essere un  campione di fissità, di spazi gremiti di personaggi ma statici, del tutto incapaci di far circolare tra loro un po’ d’aria per alleggerire il tutto pieno dei corpi. Del resto, sembra quasi che la sorte si sia impegnata   a condannarlo, facendolo morire proprio all’aprirsi della svolta “moderna”, lasciandolo nel Purgatorio della terza maniera, con tutti i suoi arcaismi, per quanto ben  modellati, con sicuro senso delle proporzioni, armonia di corpi, ma tirati a riva, all’asciutto, come barche arenate. Insomma, un destino ben diverso tra i due, a mio parere del tutto a vantaggio del padre rispetto al figlio, ma so bene che altri la pensa diversamente.

 

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