Sono ben lieto che la Galleria di Stefano Fumagalli si sia trasferita di recente da Bergamo, dove ha svolto il suo ruolo di grande peso, in un sede milanese facilmente accessibile, non lontano dalla Permanente, rimanendo sotto la guida della moglie del fondatore, Annamaria Maggi. Posso dare la stura ai ricordi rammentando che Annamaria si è laureata con me, al DAMS, ormai tempo fa con una tesi su Castellani, artista-simbolo della Galleria condotta dai due coniugi, anche se a me non particolarmente caro. Un altro ricordo mi balza al cuore, quando nel 2005, nell’ultima edizione del Premio Belluno-Cortina artista dell’anno (in seguito soppresso quando a Belluno ha vinto la destra, come sempre anti-culturale), questo era andato ad Agostino Bonalumi, già allora sofferente, ma in una fase “movimentista” della sua attività, dimostrandosi capace di schiodarsi dalle forzate simmetrie del gemello Castellani per tentare più estrose fuoriuscite dalla tela. Allora Fumagalli appariva in piena forma fisica, mentre forse una malattia incurabile lo stava già logorando. Questa fase milanese ospita oltretutto una coppia a me carissima, dei coniugi Anne e Patrick Poirier, cui ho associato sul filo dei decenni il mio percorso “citazionista”, fin dagli inizi, quando mi recai a Genova, alla Galleria Masnata, per ammirare una delle loro prime opere, un calco di sagome tombali ottenuto con carte preziose, che poi feci trasferire nella mostra “La ripetizione differente”, ospitata allo Studio Marconi nell’autunnoi 1974. Sono felice di aver riproposto circa quarant’anni dopo quella rassegna, nella medesima sede, e beninteso i Poirier erano là, coi loro austeri-leggeri sarcofagi. Poi li ho ammirati quando, alla corte di Giuliano Gori, a Celle, primo e più importante museo a cielo aperto nel nostro Paese, hanno infossato un occhio macroscopico di un gigante ellenico, Efialte, trafiggendolo con un dardo acuminato. Ne avevo tratto lo spunto per invitarli in un altro luogo di sculture all’aperto, gestito assieme all’amico Fabio Cavallucci a Santa Sofia, in provincia di Forlì, lungo il corso del Bidente. E proprio nel letto di quel fiume, nel pieno centro della piccola ma industriosa città, i Poirier hanno impiantato una delle loro più ampie realizzazioni, supponendo che un errabondo ulisside vi fosse approdato, trasportandovi i propri Penati. Tante altre sono le occasioni di incontro con questa magica coppia, nelle loro multiformi apparizioni, che ora trovo concentrate in una perfetta antologia proprio alla Galleria Fumagalli. Ci sono gli erbari che essi hanno raccolto, comprendendo come le foglie carnose, policrome di certi vegetali corrispondessero da vicino alle carte con cui usano sagomare i corpi di illustri estinti. Ci sono le mappe di città morte, reali, nella storia, o nella leggenda, nel mito, nella futurologia, come vedevo offerte in ricostruzioni ingegnose presso la Galleria Ropac di Parigi. Ricordo anche una mia visita avventurosa in una delle Ville medicee, a Quarrata, per presenziare a una di queste loro animate presenze, pronte a rimbalzare dalle due alle tre dimensioni, dal passato al presente al futuro. Tra le opere inedite, almeno per me, in questa rassegna milanese c’è un tappeto che entra in gara con le mirabili imprese tessili che ci offre Boetti, solo che quanto ci offre l’artista torinese si pone nell’ambito di un gioioso colorismo, qui invece la visione è cupa, come di una pianura azzerata da un incendio o da qualche altro malanno, sorvolata da un drone, di quelli che ahimé, al giorno d’oggi registrano le tante distruzioni provocate dai conflitti in corso nelle varie parti del mondo. Del resto, non per nulla questa mostra si pone all’insegna della Dystopia, ovvero, i “topoi” esistenti non sono presi per il verso giusto, ma sempre in contropelo, in controtendenza, il che conferisce loro un peso di alto potenziale drammatico.
Anne e Patrick Poirier, Dystopia, a cura di Lorand Hegy e Angela Madesani. Milano, Galleria Fumagalli, fino al 20 dicembre.