Galatea
Non ricordo bene dove, è uscito un saggio sulla grande opere di Raffaello il Trionfo di Galatea.
una delle sue imprese maggiori ad affresco, assieme alle Stanze vaticane, nella piena maturità dell’artista, e per una delle tante Farnesine di Roma, ma la più autorizzata, voluta dal magnate Chigi ed eretta da Baldassarre Peruzzi, ancor oggi visitabile ma sottostando a orari difficili. Vi trionfa la “maniera moderna”, con personaggi che si dispongono liberamente nello spazio con totale disinvoltura, rinunciando alla fissità che caratterizzava i protagonisti della “seconda maniera”, a cominciare dallo stesso maestro del Sanzio, il Perugino. Le figure guardano in dentro, in fuori possedendo davvero lo spazio. E anche gli angeli partecipano a tanta disponibilità, a cominciare da quelli che volteggiano in cielo, come degli astri in libero volo, o come delle nuvole gonfie e consistenti. Degna di nota anche la cornice che fascia questo portento di dinamismo e di scioltezza, un festone di verdure dovuto a un coetaneo di Raffaello, Giovanni da Udine, che nell’occasione dà prova pure lui di un fresco naturalismo. Si pone a questo punto uno dei vari misteri filologici che a mio avviso non hanno ancora ottenuto una spiegazione ragionevole: perché, dopo tanta fluidità che già preannuncia il barocco, o che comunque sottende secoli di naturalismo occidentale, da Annibale Carracci in su fino a Rubens, Poussin, Rembrandt e oltre, sono venute le Logge Vaticane, che segnano un passo indietro e annunciano l’avvento della stagione manierista? Si dice che questo sia dipeso dalla scoperta archeologica, tra le grandiose rovine della romanità, delle grottesche, con i loro modi accorciati e stilizzati, buoni per conseguire effetti decorativi, rinunciando alle fatiche di un naturalismo pieno. E Raffaello, nei suoi ultimi anni di vita, sarebbe stato conquistato da questa novità stilistica, che era poi come fare un passo indietro. Oppure, si dice, stanco delle troppe commissioni aveva deciso di mettersi da parte e di dare via libera ai discepoli, a cominciare dal numero uno, tra questi continuatori ma anche traditori, Giulio Romano. Ma in che misura il divino maestro era consenziente di una simile svolta e la tollerava, o addirittura la incoraggiava? Detto in formula, era come se già si affacciasse una sorta di preraffaellismo con qualche secolo di anticipo, e non alludo all’arte ancora ingessata dei Preraffelliti veri e propri, ma a quei grandi eversoti del naturalismo barocco-occidentale già elencati sopra, cioè i vari Rubens, Carracci, Poussin e simili. Insomma, un mistero su cui a mio avviso non si è riflettuto abbastanza.