Arte

Gillick: un brillante cromatismo spaziale

Tra i musei italiani dediti alle ultime tendenze mi pare che solo il Madre di Napoli si muova con bella intensità e frequenza, mentre altri contenitori di uguale importanza al momento dormicchiano, dal Castello di Rivoli al Mart di Rovereto al Mambo di Bologna, forse per mancanza di fondi. Purtroppo non mi è facile recarmi in visita a quanto propone il museo partenopeo, sia per limiti fisici di un ultra-ottuagenario quale ormai sono, sia per mancanza di rimborso spese di viaggio, essendo un operatore “in proprio”. E dunque, nella città del Golfo ci vado per lo più con viaggi virtuali, rubati alle immagini fornite dai vari siti, Ma mi sento in obbligo di rendere omaggio quando in quella sede, per merito della vigile attività di Andrea Viliani, compaiono omaggi ad artisti che molto tempo fa avevo avuto l’occasione di inserire nelle esposizioni di largo raggio che mi riusciva di fare nella mia regione, l’Emilia Romagna, quando l’assessore alla cultura di turno destinava alla cultura, anche visiva, dei fondi sostanziosi, mentre in seguito i subentrati in quella carica si sono limitati a distribuire delle “pioggerelle” minime, insufficienti a condurre qualche operazione consistente. E così, appena un anno fa, ho “visitato” con molta emozione una bella rassegna dedicata a John Armleder, l’artista svizzero che avevo inserito in “Anninovanta”, con una di quelle sue installazioni che equiparano gli oggetti d‘uso più banali alle stesure cromatiche più schiette e audaci. Ora mi stimola a compiere un pari omaggio la rassegna che il Madre dedica all’artista inglese Liam Gillick (1964), che io avevo avuto il piacere di invitare a una delle rassegne successive, in cui avevo raccorciato la periodicità, portandola a un ritmo biennale e indagando sulle grandi aree geografiche del mondo. Nel ’99 era stato il turno di “Officina Europa”, e appunto avevo avuto inserito Gillick, nella sede di Rimini. Di lui mi aveva convinto un minimalismo reso originale da due significative varianti: l’adozione di materiali soft, stoffe, tessuti magari di plastica, lontani comunque dai duri metalli del Minimalisti della prima ora. E oltretutto quelle barre, quelle staccionate erano animate da colori audaci per quanto essenziali, in luogo del voluto grigiore acromo dei metalli minimalisti. Quasi che Gillick si volesse iscrivere nei ranghi dei seguaci del “colour field”, ma col vantaggio di non appiattirsi sulla parete, bensì di portare la festa policroma ad occupare una buona porzione di spazialità, seppure con mosse parche, schematiche. In ciò, sembrava accogliere l’insegnamento del francese Daniel Buren, con le sue strisce monotone, ma sventagliate ingegnosamente nello spazio. Oppure, a voler sempre stare nelle file del Minimalismo, egli coglieva una eredità dal più estroso di quei protagonisti, Sol Lewitt, anche lui autore di una svolta risoluta quale l’adozione del colore, a bande sferzanti, contorte, insinuanti, forse per rimediare a una applicazione pur sempre di superficie. Da quel fronte emerge anche l’artista statunitense in questo momento tra i migliori e più provocanti che si possono vedere nella Grande Mela, Frank Stella. Diciamo pure che Gillick non lo segue sulla via di una libera e gioiosa esplosione ambientale. In fondo, come mi pare di capire, seppure coi mezzi limitati di questa visita virtuale, egli resta fedele ai suoi steccati, recinti, muretti divisori, ma pur sempre affidati a uno schietto canto del colore. Oppure spartisce i volumi così occupati in formazioni più minute, quasi predisponendo blocchetti, pedine per qualche gioco combinatorio. Come partire da una grande torta e poi tranciarla a fette, a porzioni minute, che ne favoriscono la dispersione nello spazio. Certo è il trionfo di un ritmo che si vuole analitico, riposto sullo scandirsi di unità divisorie, vaste o minute che siano. Ma anche così, a piccoli o grandi passi, l’artista inglese riesce a triturare lo spazio, ad animarlo, fustigarlo, irritarlo, evitando la piattezza amorfa di un puro e semplice geometrismo astratto.
Liam Gillick, a cura di Alberto Salvadori e Andrea Viliani. Napoli, Madre, fino al 14 ottobre.
.

Standard