Paquale Fameli e Pierluca Nardoni sono due sicure presenze a Bologna per la critica d’arte, con belle carriere alle spalle. Fameli l’ha fatta nel mondo universitario dove è già idoneato per il ruolo di associato, solo che per la strettoia degli scarsi finanziamenti ai Dipartimenti da me tante volte deprecata deve aspettare di passare attraverso la vincita di un posto di ricercatore. Pierluca ha collaborato a istituti di alto livello quali il Gabinetto delle stampe degli Uffizi e il Palazzo Magnani di Reggio Emilia, ma al momento attende di vedersi riconosciuti i suoi meriti con qualche posto di ruolo. I due per fortuna vanno d’accordo e ora hanno unito le forze per indagare su un momento alquanto trascurato dell’arte a Bologna tra le due guerre. La mostra si intitola Dinamiche dell’equilibrio e si tiene alla Galleria Lercaro, luogo da non sottovalutare in una Bologna tenuta al lumicino da amministratori che sono più avari dei genovesi, come mi capita di dire molto spesso. Se si vuole, questa mostra indaga su un momento abbastanza estraneo alle nostre vicende del dopoguerra, dominate dall’Informale, patrocinato da Francesco Arcangeli. Prima, c’erano stati tentativi di astrattismo geometrico, di cui il grande titolare è stato Giovanni Korompay, davvero un equilibrista nel tenere in sospensione nello spazio le sue bacchette. Io l’ho conosciuto di persona, ed era del tutto corrispondente alla sua arte:: magro, asciutto, impeccabilmente vestito. Di Antonio Mazzotti sono stato allievo alle scuole medie, quando né lui né io pensavamo di ritrovarci a fare mestieri affini. A differenza di Korompay, il suo geometrismo è estroso, pieno di varianti, e sono stato ben lieto di dedicargli una personale in Sala d’Ercole, a Palazzo D’Accursio. Qualcosa del genere si potrebbe ripetere anche per Ivo Tartarini, con le sue falde circolanti nel vuoto: artista misterioso, importante quando l’arte a Bologna era appena uscita dall’ultimo conflitto e cercava di riagganciarsi all’Europa. Infine, Mario Nanni, che a dire il vero in questa squadra ci sta un po’ a fatica, in quanto nella sua carriera è stato vario, dinamico davvero, ma incurante di raggiungere degli equilibri. I ghirigori grafici con cui qui viene esposto non erano per lui un esito finale, ma piuttosto le tracce di un percorso che intendeva rendere visibile attraverso azioni concrete, quasi delle performances spaziali, e dunque era artista del tutto in linea con gli esercizi attuali.