Premetto, a scanso di equivoci nel leggere quanto seguirà, che sono stato a lungo un sostenitore di Bersani come segretario del pd, votando per lui nelle primarie in cui aveva stravinto sull’inseguitore Renzi, poi scrivendo sull’”Unità” un intervento in cui lo esortava a non mollare la segreteria del partito, a seguito della disfatta nella tentata elezione di Prodi alla presidenza della Repubblica, dato che a mio avviso i famosi 100 voti contrari erano una evidente manovra contro di lui, per scalzarlo da quel posto di comando. Poi ancora, ho votato Cuperlo quando ci fu lo spareggio tra lui e di nuovo il dilagante Matteo. Ma ora mi convince il decisionismo del vincitore, come ho detto proprio su questo blog assegnandogli una pagella sul suo operato nel primo anno di governo, e dandogli piena sufficienza proprio sul versante delle riforme elettorali. Trovo che Renzi abbia pienamente ragione nel voler concludere al più presto l’Italicum, senza apportare cambiamenti a quanto già approvato dal Senato e poi dalla Camera, con la triste necessità di dover affrontare un nuovo passaggio, di tornare a sfidare un Parlamento riottoso, ostruzionista, intestardito nello svolgere una opposizione preconcetta. Trovo risibili e vergognose le osservazioni di chi sostiene che in materia di legge elettorale non c’è fretta, si può aspettare, rimandare. Un Paese serio che non si sappia dare una opportuna legge elettorale è come un individuo privo di un certificato di nascita o del codice fiscale.
Ora il mio amato Bersani, alla testa di una componente di sinistra, si ostina nel chiedere che si riammettano le preferenze, limitando il potere discrezionale dei partiti nella designazione dei capilista. La causa in sé sarebbe sacrosanta e condivisibile, però mi chiedo, chi tra noi, in passato, nelle tante elezioni che ci sono state, ha fatto davvero uso di questo diritto? Io almeno no, e non credo di essere l’ultimo dei bietoloni o degli irresponsabili, e temo che come me si sia comportata la grande massa dei votanti. In definitiva, l’esprimere le preferenze di lista è una questione che riguarda la cosiddetta casta, con tutti i relativi portaborse, è cosa di pertinenza dei gruppuscoli, delle fazioni, e dà anche luogo a campagne elettorali bisognose di fondi, il più delle volte procurati per vie di dubbia legalità. Oltretutto si produce in tal modo una coltre soffocante di manifesti stesi sugli appositi cartelloni più che altro per soddisfare piccole vanaglorie personali, oppure astute cordate che si sono riunite per dare l’assalto al potere. Qualcosa che non costituisce per nulla un bagno nella democrazia e di cui si può fare volentieri a meno.
Del resto, una via per tutelare gli indubbi diritti a una scelta motivata dei deputati da mandare a Montecitorio esiste, e se ne è parlato, almeno nella grande famiglia del pd, che poi è l’unica sensibile davvero a queste esigenze di democrazia interna. I berlusconiani sono un gregge acefalo pronti a votare per il gran capo e per quanti lui gli voglia propinare, basti pensare a come lo hanno seguito ciecamente nell’avversione alla candidatura Mazzarella, reo solo di aver recato in passato qualche torto agli interessi supremi di Mediaset, cioè del partito padronale. Non saprei vedere grandi ansie di libera scelta tra gli aderenti alla Lega, i Cinque Stelle, come si sa, hanno le loro sparute consultazioni in rete, cosa da consumarsi tra pochi intimi. Tornando al pd, questo ha fermamente adottato il metodo delle primarie, e Renzi non lo può certo sconfessare, visto che è stato proprio attraverso di esso che ha potuto impadronirsi del partito, bastava stabilire che alle primarie potevano partecipare solo gli iscritti in forme canoniche al partito, e lui non sarebbe mai “passato”, ma è anche vero che il pd non avrebbe mai varcato la soglia del trenta per cento. Dunque, si facciano delle primarie seggio per seggio, nei relativi collegi, e dunque a questo modo si salverebbero la capra di una corretta istanza democratica e i cavoli di una approvazione non sottoposta alle imboscate del Parlamento, oggi divenuto davvero simile a una giungla impenetrabile, entro cui si riesce solo a procedere a colpi di machete, ovvero di voti di fiducia.