Fabio Dainotti
Ricevo da Fabio Dainotti la sua raccolta di poesie, L’albergo dei morti, e ci sono varie ragioni per obbligarmi a intervenire. Intanto una bella dedica, e poi il fatto che pubblichi presso un mio editore di riferimento, Manni. Ragioni che fanno forza alla mia ritrosia a occuparmi di poesia piuttosto che di narrativa, ma non mancano mie riflessioni anche a proposito della prima. Attorno a cui potrei parlare di una scissione che si avverte ai nostri giorni. Da un lato, c’è la schiera infinita di chi si esprime in “poetichese”, utilizzando i cascami dell’ermetismo o andando a pescare in forme ancora più antiquate. Dall’altro, e i raduni di RicercaBO lo dimostrano, ci sono coloro che superano quella soglia logora gettando nella mischia ogni possibile materiale, facendo a gara tra chi più riesce a cancellare tutti gli stereotipi di una poesia generica. Si comportano cioè come tanti Remo che contraddicono Romolo saltando a pie’ pari ogni possibile linea di confine, anche quella tra poesia e prosa. Il nostro Dainotti, direi, si pone in mezzo a questo bellicoso conflitto. o addirittura va più indietro nel tempo, ma con effetti positivi, Mi sembra che retroceda fino al movimento che all’inizio del Novecento ha inaugurato la nostra stagione lirica, alludo al Crespuscolarismo, di cui il nostro Dainotti non coltiva certo le forme più appariscenti, non c’è in lui la sublime ironia di un Gozzano e neppure l’inquieta ricerca di un Corazzini, nei suoi versi rinascono piuttosto le Poesie scritte col lapis di Marino Moretti, cioè una capacità di affrontare le minute circostanze del vivere quotidiano in toni dimessi, ai limiti con esiti prosastici, evitando con cura ogni eccesso di vocabolario, così come ogni ardimento sperimentale, Dainotti procede calmo e concentrato nel raccogliere frammenti di un esistere comune, alla buona, potrei addirittura fare un paragone con l’ospite della rubrica d’arte in questo blog, Rachel Whteread, che anche lei raduna con pazienza un cimitero di candide presenze. Il paragone potrebbe sembrare anche insensato, ma si vada all’indice di questa raccolta, e si avrà l’impressione abbastanza corrispondente di una marea di occasioni a cui rivolgere un modesto , trepido riconoscimento, attento a stare dentro le righe, a non alzare mai troppo il tono.
Fabio Dainotti, L’albergo dei morti, Manni, pp. 165, euro 18.