Letteratura

Evviva l’ecologia dei media

Non c’è oggi vocabolo più inflazionato di quello di “media”, di cui facciamo uso a ogni pie’ sospinto, ma non è una buona ragione per evitarlo, soprattutto se si pensa che non lo ha fatto uno dei più sicuri interpreti della nostra epoca, Marshall McLuhan, il cui capolavoro, del 1964, si intitolava appunto a un semplice ed essenziale “Understanding Media”. Purtroppo nella traduzione italiana presso il Saggiatore, che ebbe il merito di seguire a breve distanza, nel 1967, si compì un tradimento, preferendo parlare di “Strumenti del comunicare”, forse perché già allora la parola “media” sembrava di bassa lega, indegna di un testo scientifico, ma soprattutto perché ci trovavamo immersi nella sbronza mentale del “comunicazionismo” ad oltranza, oltretutto inteso come di natura strettamente linguistica, e appoggiato alla teoria semiotica, che disastrosamente spezzetta, frantuma il carattere globale proprio dei “media”, riducendone enormemente la portata. Ben venga dunque un ricollocamento dei “media” nella centralità che gli deve competere, se per giunta il termine viene congiunto con un altro che ne sottolinea l’ampia portata, come quello di “ecologia”, con riferimento alla nostra comune “oicos”, all’ambiente in cui siamo tutti immersi, e allacciati ad esso proprio attraverso la rete dei “media”. A questo modo ho introdotto l’’intitolazione di un saggio decisivo, “Ecologia dei media”, steso da Paolo Granata, ormai da molti anni mio amico e collaboratore inseparabile, con cui fin dalla prima ora spartisco il culto del grande McLuhan, e anzi, diciamolo pure che tra noi si è compiuto l’inevitabile capovolgimento, secondo il precetto per cui l’allievo deve superare il maestro, il giovane l’anziano. Infatti, quando nel 2011 Toronto si è ricordata del grande profeta cresciuto in quella università, a un secolo dalla sua nascita, Granata è stato chiamato a quella corte, ricevendo una borsa di studio proprio nel “santo” nome che si voleva celebrare spartendola addirittura col figlio di lui, Eric, a riprova di una consacrazione ufficiale. Purtroppo Granata è uno dei tanti intellettuali verso cui il nostro Paese risulta ingrato, così da provocarne la fuga. Ma chissà, forse è giusto e opportuno che il nostro Granata completi la sua vocazione e, respinto dai patrii lidi, si rechi a Toronto a dare un seguito a quella gloriosa scuola. Vorrei che in suo onore ci fosse un pittore del calibro del preraffaellita Madox Ford Brown capace di stendere un favoloso ”Addio all’Inghilterra”, per un collega che se ne andava proprio verso il Mondo Nuovo.
Ma ritornando a noi, non è che Granata sia accecato da un amore a senso unico verso il “nostro” McLuhan, sa invece stabilire molto bene il gioco delle parti e indicare autori e fenomeni concomitanti, per esempio, è abbastanza noto che, come succede quasi sempre, McLuhan non fece tutto da solo ed ex-novo, ma poté approfittare del terreno favorevole apprestatogli da Harold Innis, con cui stabilì un perfetto scambio del “testimone”, ben esaminato in queste pagine. Rientra poi nello spirito di una mediologia di largo impianto respingere appunto le strettoie della semiotica e del suo pregiudizio a favore della lingua scritta, e dunque, conviene pronunciarsi contro la nozione di segno, che non è per nulla la soglia fatale della condizione umana, ma appartiene in pieno anche al regno animale. Per noi esseri umani bisogna rivendicare la ben più sostanziosa e complessa nozione di simbolo. Ecco dunque che anche Susanne Langer deve entrare in questa ecologia dei media, con la sua fondamentale “Filosofia in una nuova chiave”. E chi ha detto che la lingua viva quasi soltanto nelle versioni affidate a qualche tipo di scrittura? Una concezione del generale bisogna lasciarla ai Nouveaux philosophes francesi, con Derrida in testa, e alla torma dei modaioli che li seguono. Una sana ecologia ci dice che il nostro habitat è investito prima di tutto dalla parola parlata, questa sì che è consustanziale alla comparsa dell’uomo, non c’è umanità senza tracce di oralità, mentre sono esistite, e possono esistere ancora, civiltà mature e complete senza scrittura, capaci cioè di comunicare attraverso modalità gestuali-acustiche. Da qui occorre fare posto, nella rassegna in questione, agli studi e indagini di Walter Ong, che del resto si è sempre mosso a fianco di McLuhan, in un efficace collateralismo. Insomma, per impostare una autentica ecologia dei media bisogna superare i pregiudizi meschini e di corto respiro della semiotica, se di specie “comunicazionista”, proprio perché il principale compito della nostra umanità non è di “comunicare”, ma di operare, plasmare, lavorare, in accordo o anche in contrasto con i dati ambientali.
Proprio per questa ampia latitudine dell’intervento mediale, per mio conto sarei più propenso ad accoppiarlo al termine di cultura, così predicando a favore di una culturologia dei media, piuttosto che di una loro ecologia, ma si tratta di opzioni abbastanza esteriori e terminologiche. Però, poiché a Bologna di queste cose si è discusso a lungo, e proprio con Paolo, forse egli avrebbe dovuto dedicare più spazio al “contributo italiano”, invece di relegarlo nell’ultimo paragrafo dell’ultimo capitolo, ma potrà sempre sviluppare quel primo nucleo se ci sarà una seconda edizione riveduta e allargata di questo saggio fondamentale.
Paolo Granata, Ecologia dei media, protagonisti, scuole, concetti chiave. Franco Angeli, pp.159, euro 18.

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