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Durer a Trentoi

Durer a Trento

   Il Castello del Buon Coniglio a Trento ha avuto la buona idea di celebrare il secondo viaggio in Italia di Albrecht Durer (1471-1528), l’unico pittore del Nord che è stato capace di varcare la soglia della maniera moderna, superando la fase del Quattr0centro che aveva visto la gara tra i nostri artisti e i fiamminghi, senza bisogno di ipotizzare incontri diretti, anche se senza dubbio in alcuni casi c’erano stati, ma contava soprattutto  una uguale sorte antropologica, che lportava a infittire le scene, con tanti altri caratteri in comune. Invece noi, come ci ha detto bene il Vasari, con Leonardo e altri siamo entrati nella “maniera moderna”, il che vale anche per il loro antagonista tedesco, con l’unica differenza che in lui non sono mai entrati i valori ammorbidenti dell’atmosfera. Il Tedesco è rimasto “Duro”, come diceva il Vasari, forse solo per una frettolosa italianizzazione del nome del Tedesco, ma forse anche per significare il suo modo “secco”, duro, di affidarsi a un linearismo sapiente, dinamico, ma appunto mai disciolto nei fumi e lumi atmosferici, diversamente da quanto capitava ai Nostri sulla scia di Leonardo. Su questo punto è sempre esistito un mio dissidio dalla lezione pur magistrale di Roberto Longhi, ossessionato dal suo mito della Padania su cui fondava anche l’avvento del Caravaggio, mentre se pensiamo al Lotto ,e via via al Savoldo e simili c’è da vedere in loro piuttosto un influsso appunto dal Nord, dalla Germania di Durer. Nella selezione offerta dalla mostra trentina emerge senza dubbio la capacità del pittore d’oltre alpe  di affrontare anche il paesaggio, ma non è certo quello morbido e ben areato della linea Giorgione-Tiziano, anch’esso  in sostanza è “duro”. Ma il capolavoro tra le opere in mostra è senza dubbio il Cristo tra i dottori proveniente dal Thyssen di Madrid, dove i protagonisti muovono e intrecciano con disinvoltura mani e dita, e si muovono anche con  scioltezza appunto da dirsi già “moderna”, col coraggio di voltarci anche le spalle, di mostrarci le nuche, scendendo da quel piedistallo di immobilità cui invece erano condannati i pittori del secolo precedente, forse con l’eccezione di Giovanni Bellini, annunciatore dell’avvento della modernità, ma senza raggiungerla in pieno.

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