Mi è già capitato più volte di osservare che la generica categoria degli “intellettuali” dei nostri giorni, si tratti di critici di ogni genere, di uomini politici, di giornalisti, mentre un tempo tentavano di acquisire qualche titolo di nobiltà pubblicando un libretto di poesia, ora invece puntano piuttosto alla forma più coinvolgente e popolare del romanzo. Non fa eccezione Costantino D’Orazio, ottimo operatore nelle arti visive, tra contributi informativi, comparse televisive, studi critici. Ora anche lui ci dà il suo inevitabile romanzo, “Ma liberaci dal male”, con esito tutt’altro che malvagio, anche perché nel romanzo si lasciano intravedere tre componenti con diverso grado di interesse e attendibilità, cosicché il lettore può scegliere tra una parte e l’altra. La protagonista si chiama Virginia, abbreviata in Vivì, e ci narra in prima persona il suo dramma familiare, affidandolo a caratteri in corpo piccolo, quasi per farsi perdonare il fatto che lo scriva in prima persona, mentre quando poi passa a una più corretta terza persona i caratteri crescono di corpo, a significare un andamento più oggettivo. Vivì ha alle spalle un triste dramma familiare, di una madre nevrotica che giunge al suicidio, e di un padre premuroso ma incapace di condurla nell’esistenza, tanto da spingerla a un passo estremo, di farsi novizia in un convento di clausura, presso la chiesa romana dei Santi Quattro Coronati, che diventerà ben presto l’ombelico attorno a cui ruoterà il seguito della vicenda. Ci potremmo arrestare un momento a un primo commento. Non è troppo credibile che Vivì, di buon livello sociale e di studi, ricca di interessi, del tutto inserita nel mondo attiuale, voglia autopunirsi nella forma grave della clausura. Ma scatta in proposito il secondo segmento della vicenda, e davvero c’è da chiedersi chi abbia fornito a D’Orazio l’eccellente documentazione di cui si vale, quasi che fosse stato ammesso con salvacondotto a sperimentare lui stesso la vita monacale. Certo è che ce ne offre in modo esaustivo e credibile un diario perfetto, di come le monache passano la giornata, tra preghiere, refezioni, indicate analiticamente, e tante altre cure quotidiane che in definitiva riempiono il loro tempo. E ci sono pure le reazioni psicologiche nei confronti della novizia, alcune sorelle sono dure e aggressive verso di lei, come in particolare, oltre a una inevitabile Madre Superiora, un’altra figura autoritaria, una Implacabile Suor Elisabetta. Questo introdurci a vivere ora per ora quanto succede in quello strano e insolito alveare è la parte migliore del romanzo, quella che lo distingue nel numero dei tanti altri che io sono solito iscrivere nella categoria di un neo-neorealismo, e infatti che cosa ci può essere di più insolito quanto l’andare a sperimentarlo, piuttosto che in un mondo di drogati o di assatanati del sesso, nei silenzi austeri della clausura, rivelatasi però anch’essa piena di sussurri e grida?
Scatta infine la terza componente, forse la più prevedibile, ricordando che la vicenda è narrata da un critico d’arte chiamato anche a un ruolo di guida ai monumenti romani. Qui francamente non so che cosa ci sia di vero o di inventato, da questo punto in avanti, e riconosciamo anche che il Nostro, forse senza saperlo, si muove al seguito della grande Jane Austen, quando immagina che una fanciulla, ospite di un baronetto inglese, nasconda nel solaio un segreto di famiglia. Forse il nostro Costantino si mette nei panni di un suo personaggio, tale Andrea Rizzuto, posto spasmodicamente alla ricerca di un segreto artistico che si dovrebbe celare in quel monastero e nella chiesa attigua, una misteriosa Aula Gotica di cui nei secoli si sarebbe persa la memoria. Rizzuto sfrutta le armi della seduzione sulla novizia per riuscire a penetrare nel luogo misterioso, di cui le suore custodiscono con tenacia il segreto. E’ un luogo dell’orrore, dove le nostre brave sorelle si riuniscono per inique cerimonie sanguinarie, magari seppellendovi i frutti di amori illeciti? No, in proposito si ha la migliore invenzione romanzesca del nostro autore, in quelle stanze negate ai comuni mortali le sorelle si ritirano per prendere una boccata di normalità, per rientrare nei loro panni “borghesi”, dandosi a lavare e stirare gli indumenti intìmi, Ma è vero che allo sguardo ammirato del perlustratore si rivelano affreschi portentosi che permetterebbero addirittura di anticipare l’inizio del Rinascimento, togliendolo a Cimabue e dandolo a ignoti pittori di ambiente romano, così da smentire la “leggenda” del primato toscano, nella storia della rinascita della nostra arte. Da collega di D’Orazio, dissento da questa tesi, ma da narratologo trovo che questo motivo è ben giocato, anche se egli trova sulla sua strada non solo l’ingombrante ricordo della Austen, ma le manovre ben più vicine e incalzanti di un Dan Brown. Che poi Vivì se ne vada dal convento, è una decisione che sicuramente incontra il plauso di ogni lettore.
Costantino D’Orazio, Ma liberaci dal male, Sperling & Kupfer, pp. 3°1, euro 16,90.