Come è ben noto, sono un affezionato sostenitore di tutti i narratori comparsi sul finire del secolo scorso agli appuntamenti reggiani di RicercaRE, non però professando nei loro confronti una fedeltà di specie gesuitica, perinde ac cadaver, devo pure notare certi loro passi falsi, in genere dovuti alla volontà di uscire regolarmente ogni anno o due con nuovi prodotti, per rimanere nell’orbita della popolarità e per agguantare qualcuno dei numerosi premi letterari di cui il nostro Paese è costellato. Un autore in bilico tra validi esiti e compromissioni non accettabili è Tullio Avoledo, una delle ultime comparse agli appuntamenti reggiani, ma con un ben regolato dosaggio tra una modestia di comportamento, nel suo protagonista principale da piccolo bancario di provincia, e invece un sottofondo avventuroso custodito nello scantinato del palazzo frequentato. In genere, nella sua vasta produzione, Avoledo ha confermato una simile doppia natura, di sicuro abitante della provincia veneta o friulana, con solide radici in un mondo contadino, e invece improvvise puntate verso esiti avventurosi, quasi a sfidare i grande romanzieri sul tipo di Dan Brown o addirittura di Sua Maestà 007. Questo recente Come navi nella notte è un perfetto compromesso tra le due componenti. Per un verso, ci presenta un personaggio variamente titolato, ex-poliziotto, avviato a una onorevole carriera di scrittore, ma per altro verso attratto da un focolare domestico, per quanto disertato, ora però deciso a riattivarlo, avvalendosi dell’aiuto di un rozzo muratore, che gli fa eco in bevute consolatorie e riparatrici. Ma soprattutto la componente più autentica di questa rimpatriata, e la più contraria al profilo di avventuriero internazionale, sta nell’attenzione prestata a poveri animali domestici, un gatto, un cane, che non vengono allontanati o soppressi. Al contrario il nostro reduce se ne prende cura, ci mette ogni buona volontà nell’apprestargli le cure necessarie, ricorrendo perfino all’assistenza di una veterinaria, saggia, ben ammaestrata, che sa come ci si comporta con quelle creature, le sa sterilizzare, liberare dagli insetti, prendersene cura nei modi più appropriati. Da cosa nasce cosa, e dunque, anche se il protagonista è scafato, ricco di amori plurimi, alcuni dei quali ancora in corso, non può evitare di concepire un tenero affetto per quella provvidenziale, saggia, esperta veterinaria, che viene così bene in aiuto alla improvvisa tenerezza per i poveri animali randagi. Questa la dimensione da “piccolo mondo antico”, da modesto realismo di provincia, ma Avoledo non resiste alle tentazioni di quell’altra presenza che ai agita in lui. e infila storie inverosimili di cui avrebbe potuto fare a meno, con sollievo di tutti. Compare l’inevitabile diario segreto di qualche leader nazista, per fortuna non proprio di Hitler, ma di un numero due, Von Ribbentrop, con tanto di caccia alla ghiotta preda, e dispiego di spie, sevizi segreti, sequestri, ricatti. E’ tutto un armamentario assolutamente incongruo rispetto alle vicende dei cani e dei gatti che qualche adesione e tenerezza in noi hanno pure saputo sollevare. Anche il titolo del romanzo, Come navi nella notte, sacrifica per intero alla componente immaginifica, mentre un titolo più calzante avrebbe dovuto fare i conti con una realtà più umile e a portata di mano.
Tullio Avoledo, come navi nella notte. Marsilio, pp. 447, euro 19.