Anche questa volta mi valgo del diritto già più volte affermato di comprendere certi prodotti cinematografici nell’ambito di quella poetica aristotelica che presiede senza dubbio ai frutti della narrativa. Ho visto con particolare piacere l’ultimo film del regista Steven Spielberg, “Il ponte delle spie”, perché mi pare che in quest’opera egli abbia ritrovato la forza dei suoi esordi, quando metteva in campo l’uomo comune, il cittadino statunitense “come tanti”, ma fiero dei diritti che la costituzione del suo Paese assicura ai singoli individui, liberi di lottare contro la sopraffazione e l’arbitrio altrui, si presenti esso a sua volta in forma individuale o collettiva. Penso a “Duel”, a quella lotta senza quartiere tra un conducente d’auto “come noi” e la minaccia oscura che gli viene portata dal camionista incidentalmente provocato, con lotta mortale senza esclusione di colpi. E che infine a vincere sia la causa nobile del cittadino indifeso, ci induce magari a temere una qualche concessione alla retorica, ma di quella buona e consolante, nulla di male se ci induce a risalire alle commedie ugualmente corroboranti e buoniste concepite da Frank Capra. Spielberg ha continuato con la stessa felicità a mettere in scena altri duelli per l’affermazione dei valori supremi, fossero quelli di un povero condannato cui viene sottratto il figlio, così da indurlo, appena uscito dal carcere, a imbastire una marcia trionfale per andare a riprenderselo. E in fondo, anche ET, l’extra-planetario che vuole tornare a casa, non è pure lui un individuo da tutelare in un suo diritto sancito da una specie di costituzione planetaria? Poi sono venute le maxi-produzioni da cassetta, i vari “Jurassic Park” e “Indiana Jones”, con cui Spielberg ha annacquato i dati iniziali del suo universo. Questi invece si riaffacciano con forza nel “Ponte delle spie”, dove ricompare il cittadino coraggioso e inflessibile nel difendere quanto è sancito dalla carta costituzionale, che garantisce ad ogni accusato l’accesso a una difesa condotta nel migliore dei modi possibili. Anche se, come insegna il fatto reale da cui il regista ha preso lo spunto, l’accusato è una spia al servizio del nemico storico degli USA, agli inizi della Guerra fredda, tale Rudolf Abel, catturato senza che riesca a uccidersi, come prescrive il codice di comportamenti di quel mondo. Il sistema giuridico statunitense anche in quell’occasione “finse” di attenersi alle buone regole ponendo a fianco della spia, il cui destino di condanna a morte sembrava già profilarsi inesorabile, un avvocato d’ufficio, che però si prestasse, da un lato, a rispettare la forma, ma dall’altro a non mettervi troppo accanimento, lasciando che le cose andassero per il verso già scontato. Invece il copione della storia assegnò quella parte a tale James Donovan, che in partenza sembrava il meno adatto a quella funzione, trattandosi di uno specialista in cause assicurative. Ma invece qui scatta l’orgoglio integerrimo del cittadino rispettoso dei valori costituzionali, ben interpretato da un solido, squadrato Tom Hanks, che ci appare perfino ingrassato per opporre proprio una massiccia resistenza a tutte le pressioni che invece gli suggerirebbero di “non fare sul serio”. Accanto a lui, un eccellente Mark Rylance, rassegnato da subito alla parte di vittima designata, incredulo nel dover constatare, al contrario, l’impegno che mette il suo difensore nel recitare quella parte ingrata. Donovan-Hanks la persegue ad ogni costo, incontrando il disprezzo e addirittura l’ostilità della comunità in cui vive, a cominciare dai familiari. E la partita sarebbe davvero persa già in partenza, se non gli venisse in aiuto la sua esperienza di assicuratore, il quale deve tenere in mano per i suoi cliente una carta di riserva. Quindi, ci sta un suo intervento riservato sul giudice del processo ad ammonirlo di non procedere fino in fondo, a non comminare la sentenza di morte, a tenere la spia in serbo per un non improbabile scambio con una spia di parte yankee caduta nelle mai dei sovietici. Infatti subentra il noto episodio della U2, dell’aereo di ricognizione da alta quota che fotografa abusivamente il territorio russo, prontamente abbattuto dalla contraerea facendo prigioniero il pilota Powers. Fu un momento che compromise davvero i rapporti tra le due superpotenze, prima che arrivasse la crisi superiore dei missili inviati a Cuba. Ed ecco profilarsi l’occasione, presagita dal prudente Donovan, del baratto tra i due prigionieri di lusso. Donavan-Hanks parte per Berlino a negoziare lo scambio, Qualcuno ha osservato che la Berlino in mano alla Repubblica democratica tedesca appare tracciata in modo unilaterale, come regno del male, ma posso valermi di una mia testimonianza personale, di una visita dall’altra parte del muro, circa un decennio dopo i fatti qui narrati, e il contrasto tra le due metà della capitale tedesca era davvero lampante, inesorabile. Di qua, luci, traffico, negozi ben forniti, di là dal Charlie Point, che si poteva attraversare in controllata gita turistica, c’era lo squallore di viali vuoti, percorsi da ciclisti ondeggianti come zombies. Donovan-Hanks si destreggia in modi niente affatto esagerati, tra queste due realtà così diverse, si aggiunga che il suo zelo intemerato, ovvero l’eredità ricevuta dall’idealismo di Capra, fa sì che egli assuma pure la missione di portare in salvo, di qua dal muro, un altro prigioniero abusivo. Se lo stato dei documenti conferma che Donovan riuscì davvero nella doppia impresa, bisogna raddoppiare l’ammirazione verso di lui. E c’è anche un eccellente, consolatorio finale alla Capra. Quando egli rientra dalla missione segreta nel focolare domestico, moglie e figli credono che se ne sia stato a Londra per una normale questione di lavoro, senza neppure riportare a loro la tanto desiderata marmellata di arance, o limitandosi al trucco, a copertura di una colpevole dimenticanza, di acquistarne un barattolo all’emporio a due passi da casa, per poi stramazzare vinto dalla fatica sul letto. I contrariati, ignari, sospettosi familiari imparano a un tratto dalla televisione che invece il congiunto è stato un eroe nazionale, capace di concludere una missione all’estero di alto rischio e con effetti del tutto proficui per la nazione. E’ bello gioire di questo contrappasso, lasciarsi prendere da entusiasmo e compartecipazione verso l’agire magnanimo, incoercibile, disinteressato di questo cittadino come anche noi vorremmo essere.