Attualità

Domenicale 23-10-16 (Bersani)

Mi piacerebbe in questo e nei prossimi Domenicali passare al setaccio alcuni dei più tipici esponenti del fronte del no. Cominciò dalla figura forse più dubbiosa e amletica di Pier Luigi Bersani, un leader politico nel complesso simpatico e generoso, anche per l’attaccamento che continua a dichiarare alla “ditta”, così che il suo no si stempera, come maliziosamente gli ha obiettato Crozza, in un “ni”. Questa sua indubbia generosità si è vista quando, sul finire del 2011, aveva la palla a suo favore. Se si fosse andati al voto allora, i sondaggi davano il Pd per vincente, e duqnue lo proiettavano alla testa del governo, ma lui capi che far entrare l’Italia in una accesa campagna elettorale, in quel momento di crisi economica alle stelle, forse avrebbe provocato il tanto temuto “default”, e dunque accolse volentieri, con sacrificio personale, la soluzione interlocutoria proposta da Napolitano, col governo Monti. Successivamente, quando fummo davvero di fronte ad elezioni politiche, ancora una volta aveva il boccino in mano, dato che lo statuto del Pd prevede che il segretario nazionale sia anche il candidato naturale al governo, e invece egli volle affermare la precedenza del metodo democratico delle primarie, anche se sapeva bene che gli esiti di quelle pre-elezioni gli sarebbero stati favorevoli, come infatti fu. Ma poi ha cominciato a sbagliare, ha lasciato la romana Piazza S. Giovanni, tipica delle riunioni di massa della sinistra, a disposizione per la chiusrua della campagna elettorale alla forza antagonista dei Cinque Stelle. Una sua sconfitta è stata la proposta della candidatura Prodi per la presidenza del Consiglio, non indagando a fondo su chi erano i cento franchi tiratori. E soprattutto, senza arrendersi al primo colpo, poteva far votare scheda bianca a un successivo passaggio e intanto contattare i singoli votanti per capirne a fondo le ragioni e chi c’era alle loro spalle. Poi ancora c’è stata l’ostinazione nel voler andare a un dialogo con i Cinque Stelle, quasi con risoluzione masochistica a farsi male da solo. Renzi a sua volta è stato corretto, non ha giocato allo sconquasso, una volta sconfitto alle iniziali primarie, non se n’è andato dal partito sbattendo la porta, è rimasto nelle file degli aderenti attendendo il suo turno, che poi è venuto con le conseguenze che tutti sanno. E’ vero che anche Bersani, come dicevo in apertura, non manca mai di predicare la sua determinazione a rimanere nella “ditta”, ma questo a poco serve se poi ne rende insostenibile l’esistenza, come sarebbe nel votare contro una decisione presa a maggioranza. Se non gli piace l’attuale maggioranza, non se ne può chiamare fuori a suo piacimento, deve attendere la prossima “conta” e certo, può manovrare a proprio favore, ma al momento votare per il no sarebbe proprio l’atto più distruttivo nei confronti della ditta cui predica di essere così affezionato, e gli si può credere, ma allora deve agire di conseguenza.

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