Naturalmente il fatto del giorno è il lungo dibattito dello scorso venerdì tra Renzi e Zagrebelsky, che ho seguito con ansia mettendomi nei panni del capo del governo, trepidando per quando mi pareva esitante, o troppo accondiscendente, contro un avversario che non definirei “gufo”, ma lumacone bavoso, intento a secernere una fine ragnatela per tentare di avvolgere il concorrente. E di approfittare dell’inizio gentile e perfino reverente adottato da Renzi, che evidentemente si era ripromesso di apparire molto rispettoso sia della maggiore età dell’altro, sia della qualifica di docente, di cui lui stesso aveva letto e studiato i testi di diritto costituzionale, Non so quante volte Renzi ha ricordato, in omaggio all’altro, di essersi formato sui suoi libri. Zagrebelsky ne ha approfittato per tentare di condurre il gioco e di irretire il partner, approfittando di quella sua generosità iniziale. Nei primi tempi il costituzionalista-principe si è valso di un’arma indebita, ha dato per scontato che la riforma costituzionale dovesse essere valutata soprattutto in stretto collegamento con la legge elettorale, con l’Italicum, su cui, come tutti sanno, non si voterà, essendo esso già legge di Stato, e d’altra parte esiste la possibilità di fargli subire delle modifiche. Stranamente Renzi non ha denunciato subito questa prevaricazione, caso mai è stato il conduttore Mentana, imparziale, a far osservare che si dovevano scorporare i due temi. Solo in un secondo tempo anche Renzi ha sottolineato come sull’Italicum c’era modo di condurre variazioni sostanziose, e dunque non doveva entrare nello stesso pacchetto. In definitiva la principale critica avanzata da Zagrebelsky contro la riforma costituzionale era di favorire una svolta oligarchica, ma solo se strettamente collegata con la legge elettorale. Intendiamoci, credo che Renzi resti convinto dentro di sé che la sua proposta di andare a un ballottaggio resti la migliore, d’altronde si è detto fino alla noia che una delle poche cose che oggi appaiono funzionali è la legge attraverso cui si eleggono i sindaci del comuni, ricorrendo appunto, se necessario, a un ballottaggio. Sappiamo bene che molti sostenitori del renzismo hanno consigliato al leader di fare un passo indietro, ovvero di distinguere il sì o il no del 4 dicembre da una specie di pronuncia pro o contro di lui. Ma chiamarsi fuori da questa identificazione, come gli suggerisce con insistenza il suo stesso sostenitore numero uno, Napolitano, è solo un accorgimento tattico. Se Renzi uscisse sconfitto dall’esito referendario, ben difficilmente potrebbe rimanere a Palazzo Chigi, o sarebbe solo un’”anatra” tristemente “zoppa”. Dunque, prima subdola manovra di Z., legare a stretto giro riforma e legge elettorale, aiutato anche dalla sciagurata viltà, da me condannata nel domenicale scorso, commessa dalla Corte costituzionale, che non si è voluta pronunciare sull’Italicum. Se avesse sentenziato apertis vertbis che questo è incostituzionale, avrebbe tolto dal tavolo del dibattito un cadavere ingombrante, avrebbe privato proprio Z dell’argomento numero uno su cui ha appoggiato per tanto tempo la sua requisitoria.
Ma poi è prontamente passato a un argomento ugualmente falso, negando che il bicameralismo perfetto sia davvero un guaio, o che sia così incisivo come pretende la riforma renziana. Invece proprio in questa disastrosa legislatura, con una Camera e un Senato di diversa composizione, il danno dei passaggi attraverso organi contrastanti è palese a tutti. E, sia detto en passant, è la ragione per cui non si riuscirà a modificare l’Italicum, non si arriverà in alcun modo a coagulare una legge diversa.
Proprio su questo punto, sulla necessità di semplificare il Parlamento, di evitare il ping pong tra le due camere, la voce di Renzi è divenuta via via più sicura, dimostrando una capacità di sintesi che invece è del tutto mancata al suo oppositore, che si è rifugiato, come succede sul ring quando uno di due pugili si sente più debole, in un minuzioso corpo a corpo sui rischi della semplificazione della carta per quanto concerne il rapporto tra Stato e Regioni. Ma la guardia genziana in questa materia si è dimostrata vigile, ferrata, competente, non lasciandosi più avvolgere nella ragnatela dell’avversario. E in definitiva credo che la sua capacità riassuntiva, nel ribadire i punti decisivi della riforma, gli potrà procurare l’assenso della maggioranza degli Italiani, di coloro che non hanno nessun rancore e spirito vendicativo da esercitare nei suoi confronti.