A Matteo Salvini si addice il proverbio “chi troppo vuole nulla stringe”. Il leader della Lega credeva di aver messo nell’angolo Berlusconi contrapponendo alla timida e infelice candidatura di Bertolaso quella in apparenza più appetibile di Giorgia Meloni, ma il conduttore di FI si è liberato dalla tagliola correggendo la rotta e puntando su Marchini. Il risultato sicuro di questo dissidio, lo si può prevedere, è che né l’uno né l’altra andranno al ballottaggio, e dunque i candidati Pd e Cinque stelle se la dovranno vedere tra loro. La bizzosa e intemperante Meloni può mettere il cuore in pace e magari dedicarsi a mandare avanti con cura la sua gravidanza. A questo proposito, converrebbe distinguere, certo nessuno può vietare alle donne di conciliare la presenza della maternità coi diritti-doveri di una carriera politica, o in genere lavorativa, ma il condurre una gestazione nei mesi di una accesa campagna elettorale non sembra molto opportuno, se a dettarlo non interviene una gigantesca ambizione, ora bocciata dai fatti e dall’aver tirato troppo la corda.
Un copione del genere, di sconfitta della destra, si riproduce, o si è già prodotto altrove, e la cosa è consolante per ogni persona di sano intendimento che tema il successo di partiti xenofobi e antieuropeisti. In Francia l’apparente successo della Le Pen è stato scongiurato dal fronte comune degli altri partiti che hanno saputo isolare la mela guasta. Si può scommettere che un esito del genere si ripresenterà nel ballottaggio di domenica prossima in Austria, anche là una alleanza dei partiti dell’arco costituzionale farà fronte comune a favore del candidato dei verdi contro il successo effimero del destrorso Norbert Hofer.
Accantonati questi scontri avviati verso soluzioni confortanti, si profila massiccia e invadante, nel nostro Paese, la questione del referendum favorevole o no alla riforma costituzionale voluta da Renzi, con relativa spaccatura dei fronti. A questo proposito ho trovato confortante il responso emergente da uno dei talk show promossi dalla Gruber, che ha visto opposti il direttore esonerato dal “Corriere della sera”, Ferruccio De Bortoli, e Mario Calabresi, subentrato a Ezio Mauro nella direzione di “Repubblica”, un cambio della guardia su cui, come mi è già capitato di dire, i nostri salotti televisivi, loquaci e bravi se si tratta di pestare l’acqua nel mortaio e di ripetere fino alla noia l’inutile, hanno prudentemente taciuto. Per fortuna il primo se n’è andato visto che, pur nel suo linguaggio felpato, alla fine si è pronunciato per un no al referendum, il che sarebbe un risultato disastroso per il nostro Paese, condannato a non concludere mai nulla, a vivere di continui rimandi e “slittamenti”, il governo Letta ci ha insegnato in proposito. Invece Calabresi, pur anche lui con prudenze tattiche, si è espresso per il sì, confermando che davvero al quotidiano fondato da Scalfari qualcosa è cambiato, non so infatti se sia Scalfari, sia il rimosso Mauro, di fronte a un quesito del genere sarebbero altrettanto espliciti.
Sempre in merito a questo passo, incombente nel nostro futuro, è riemersa la solita questione di Verdini e compagni, come se, di fronte a un referendum, non si predicasse da tutte le parti che il voto si deve considerare libero e di coscienza, sottratto alle strette logiche dei partiti. Ma si sa che il fare il viso delle armi a Verdini è una delle tante mosse in cui gi eredi della tradizione comunista tentano di recuperare terreno strappandolo all’avversario storico costituito dalla socialdemocrazia, che con terrore panico vedono risorgere dalle ombre del passato, dopo averlo creduto sconfitto per sempre. Si aggiunge anche l’ipocrisia del sostenere che non bisogna personalizzare lo scontro, mutarlo in un referendum pro o contro Renzi, come se così non fosse, e non si trattasse di andare a giudicare la sua azione sul più grande dei suoi interventi decisionisti.
Sempre a proposito di questo inevitabile scontro finale, sorprende la diversità dei sondaggi. Quelli che fornisce Mentana ogni lunedì nel telegiornale della Sette insistono a dire che in un ballottaggio finale i Cinque stelle prevarrebbero sul Pd, mentre un altro, fornito da Pagnoncelli e pubblicato sul “Corriere”, darebbe un risultato inverso. Io ritengo più probabile quest’ultimo, dato che sui Cinque stelle convergerebbero senza dubbio i nemici a oltranza di Renzi, come la Lega e tutte le gradazioni della sinistra massimalista, quella che considera una iattura il veder prevalere da noi la socialdemocrazia, ma i berlusconiani tra i due mali credo che opterebbero per il renzismo. Forse c’è qualcosa di vero quando si accusa Berlusconi di aver favorito, col cambio di cavallo dell’ultima ora, la candidatura Giachetti su quella Cinque stelle. Sarebbe un modo per rientrare nel solco di un bipolarismo corretto e temperato.