Attualità

Dom. 9-7-17 (Erdogan)

Anche il tema di questo Domenicale non può evitare di misurarsi sul problema enorme dei migranti. In merito mi pare giustificato il proclama nazionale di dover porre un limite agli sbarchi. Ritengo che sia lecito stabilire un criterio: noi consentiamo lo sbarco solo dei migranti recuperati da navi battenti bandiera italiana o da noi autorizzate. Dove il salvataggio sia avvenuto da parte di imbarcazioni di altro Paese, ne rifiutiamo lo sbarco, questo avvenga trasferiscano nei porti verso cui sono diretti per scaricarvi persone o merci. Naturalmente noi non negheremmo una assistenza elementare, rifornendo quelle navi di acqua e cibo per nutrire gli ospiti non voluti, pronti anche a far discendere quanti necessitino di interventi medici, di ricoveri ospedalieri. Queste imbarcazioni incontrano il veto a disfarsi della loro non gradita mercanzia nei porti di arrivo? Bene, affare loro, se la vedano con le loro autorità portuali o statali, altrimenti siano costretti a tenersi a bordo all’infinito quelle presenze, dando la possibilità a Alessandro Baricco di inventare nuove mirabolanti storie adatte al suo repertorio. Beninteso tutto ciò trasgredisce a non so quante leggi, a cominciare da quella sancita a Dublino per cui ogni Paese dovrebbe farsi carico dell’accoglienza dei ripescati nei propri mari. Ma arrivati a questo punto di non poter più sostenere nuovi arrivi, dobbiamo pure prenderci la responsabilità di cancellare motu proprio qualche legge pur se stabilita anche con la nostra firma.
In alternativa, se proprio ci costringono a continuare ad accogliere tutti i ripescati nel mare nostrum, adottiamo il modello “turco”, prontamente accolto da tutti i Paesi dell’Europa centro-occidentale, quando si sono visti minacciati dall’onda migratoria proveniente attraverso la Turchia. Si sa bene che il dittatore Erdogan è stato profumatamente pagato per trattenere i migranti sul suo suolo, cosa in quel caso relativamente facile, proprio per gli ampi poteri del presidente turco, e anche per il vasto lembo di terra ferma su cui bloccare il tumultuoso passaggio delle schiere in transito. Purtroppo la possibilità di fare qualcosa di analogo in Libia appare remota, proprio per l’instabilità di quel paese, privo di forze politiche solide e autorevoli. Ma allora proponiamoci noi stessi in quella funzione di cuscinetto, ricevendo un adeguato pagamento dall’EU. Se questo non avviene, procediamo anche qui motu proprio a defalcare le somme spese con questo obiettivo dalle nostre elargizioni annuali alla cassa comune. In proposito, riconosciamo che noi siamo deficienti, i nostri centri di accoglienza sono dei colabrodo dacui noi stessi facilitiamo la fuga degli internati, i quali si accalcano alle frontiere della Francia (Ventimiglia) o della Svizzera (Milano) in una pressione tumultuosa, irregolare, che in definitiva quei Paesi hanno ragione a voler bloccare. Forse, se ci fosse una rete di questi “hubs” costituiti e funzionanti a regola d’arte, non ci sarebbe più bisogno di distribuire gli immigrati a piccoli gruppi, qua e là nel nostro territorio nazionale, andando ad alimentare temibili sentimenti di xenofobia. Restino, ben trattati, in questi centri, pronti a essere rimpatriati nei luoghi di provenienza, semmai un giorno, ma ancora molto lontano, questo divenisse possibile, o vengano assunti per lavorare, con giusto compenso. Non si dica che porterebbero via il lavoro ai nostri giovani, in quanto questi, lo sappiamo, preferiscono rimanere disoccupati, mantenuti da genitori e nonni, piuttosto che andare a fare certi lavori umili, ormai per intero affidati agli extra-comunitari, giunti fra noi in precedenti ondate migratorie. E magari occupati a condurre lavori in nero, sotto la ferula dei “caporali”, con totale indifferenza dei sindacati, troppo occupati a fare la guerra a Renzi, in quanto con lui si sono visti privare del collateralismo di cui godevano col vecchio PCI, da cui ricavavano la loro posizione di forza. Ora, fare la guerra ai “caporali”, o magari verificare se nelle varie aziende sono rispettate le regole per l’incolumità dei lavoratori, sono quisquilie indegne di chi opera all’ingrosso, impegnato soprattutto nella guerra contro il renzismo.
Merita qualche riflessione pure l’ipotesi di stabilire barriere di contenimento nei territori di origine di queste ondate di fuga. Sarà la via del futuro, diciamoci la verità, il PIL dei pesi cosiddetti progrediti, dell’EU, non conoscerà più crescite al di sopra di poche e magre unità, o del valore di “prefissi telefonici”. Il futuro è che imprese, e giovani lavoratori, vadano a colonizzare le terre dell’Africa nera, subsahariana, sviluppando in loco industrie, ma ad uso interno, non con il fine furbesco di produrre in quei luoghi merce a basso costo della mano d’opera da far rientrare presso di noi, a definitivo crollo dei redditi della nostra classe operaia. Ma a voler realizzare un inevitabile compito del genere ci vorranno decenni, anche se la strada sembra inevitabile, l’unica che può contenere le migrazioni di massa e ridare lavoro ai nostri giovani. Tutto ciò risponde anche alla concezione di un enorme Piano Marshall, di soccorso a quelle aree depresse, così come la sua prima incarnazione storica ci ha salvato dalla depressione postbellica.

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