Non intendo certo entrare a fondo nella tempesta tra il politico e il giudiziario che agita in questi giorni la nostra intera opinione pubblica, ma due riflessioni, pacate e da lontano, mi sembrano lecite. E’ una follia quella che sta alla base della Consip, cioè l’accentrare le ordinazioni di enti pubblici, per la sanità o la cancelleria o ogni altro reperimento di strumenti e utensili, in un unico ente nazionale, con torte enormi da dare in appalto. Si sa che in tal modo si cerca di rimediare agli abusi che i singoli enti commettono, se lasciati a decidere, con le incredibili differenze di costo di una banale siringa se acquistata da un ospedale siciliano o piemontese. Ma l’accentrare tutto è, per valerci di un proverbio, la tipica toppa peggiore del buco. Dovrebbe essere chiaro che queste enormi torte sono un invito alla corruzione, così come degli escrementi troppo abbondanti attirano meglio le mosche. O almeno non si capisce perché le autorità preposte non vigilino adeguatamente, come trasportare un carico di lingotti d’oro che si prestano agli assalti alla diligenza. Il rimedio potrebbe essere che un’autorità nazionale si limiti a fissare un calmiere, con scorrimento limitato tra minimi e massimi, cui le varie strutture pubbliche dovrebbero attenersi, ma procedendo ad acquisti in loco. E poi, perché sempre passare attraverso il rito degli appalti, inevitabile generatore di frodi, inganni, corruzioni e via discorrendo?
Questo sul fronte Consip, e relativo attacco a Renzi padre. Poi c’è la condanna di Verdini, e dunque del valido supporto da lui prestato alla risicata maggioranza renziana. Finalmente gli anti-renziani possono esultare, è arrivata la condanna preannunciata, che mette definitivamente fuori gioco quell’aiuto malsano, inquinante, destrorso. Ma in proposito, se si fa un discorso di natura politica, si dimentica che questa intera legislazione è partita senza una maggioranza precostituita, ha avuto bisogno dei voti berlusconiani. Se poi, persi questi per ragioni personali del Capo di un partito tipicamente aziendale, si è andati avanti coi spezzoni saltati fuori da quell’icenerg, come condannarli, che differenza faceva, rispetto ai tempi in cui era l’intera Fora Italia a sostenere il peso del governo? Il povero Bersani, a dire il vero, aveva tentato di fare a meno dell’appoggio dell’allora Cavaliere, ma ne era stato impedito dal rifiuto dei Cinque stelle, il partito anch’esso padronale, ma su basi ancora più assurde e insostenibili. E allora eravamo stati costretti a furor di popolo a non perdere più tempo e a far nascere appunto la “grosse koalition”, di cui Verdini era autorevole componente. Ora ne è venuta la condanna? Benissimo, nulla da dire, il guaio è che si conferma in proposito il nostro pessimo sistema giudiziario con i tre gradi di giudizio, per cui Verdini stesso può ridersela della sentenza, ne ha a disposizione altre due, che in genere negano gli effetti della prima, o si alternano in una doccia fredda, rendendo infiniti i tempi dei processi, e facendo sì che le persone di qualità, e di soldi, ben difficilmente finiscano in carcere. La riforma della giustizia che si impone è di cancellare quel terzo grado che appesantisce l’intero iter, e che corrisponde a una di quelle pessime prerogative esistenti, solo nel nostro sventurato Paese, alla maniera del bicameralismo perfetto. Fra l’altro, vorrei che chi se ne intende mi dicesse se fin d’ora Verdini è interdetto dai pubblici uffici o ha il diritto di attendere i tempi lunghi di prossime eventuali conferme della condanna.