Siamo tutti commossi e sconvolti per l’uscita di scena di Sergio Marchionne, personaggio che si è fatto amare per tante ragioni, per essere stato self made man, venuto fuori dalla nostra gente; per essere stato intraprendente, geniale, generoso nella carriera, uomo dal tratto semplice e comunicativo. Purtroppo però la sua fine si è avvolta nel mistero, per colpa di quel buco nero, o iceberg di ghiaccio, esistente nel cuore dell’Europa, la Svizzera, che tutto nasconde nei suoi recessi. Trovo gravissimo che la clinica zurighese in cui il grande manager si è spento non abbia emesso dei bollettini medici regolari e abbastanza esplicit. In definitiva, Marchionne era uomo pubblico, e la gente aveva il diritto di sapere, a cominciare dalla sua stessa azienda, che ne ha appreso solo a poca distanza la prossimità alla morte. Un uomo come lui visceralmente legato alla sua azienda non l’avrebbe mai lasciata disinformata sulle sue condizioni fisiche reali, l’avrebbe preavvertita di un suo rischio di morte, invitandola a prendere provvedimenti, o partecipando egli stesso alla scelta del suo successore. Tutto lascia pensare che Marchionne non fosse affatto consapevole di una sua fine imminente, e dunque i siderei silenzi della clinica zurighese ci nascondono un mistero, forse l’effetto di una mala sanità, sembra quasi di avere a che fare con una novella del nostro Dino Buzzati dall’inesorabile e non scongiurabile andamento kafkiano Certo è che, se anche avessi un censo che mi permettesse di frequentare un istituto medico di alto bordo come quello, io lo eviterei con cura. Purtroppo la dietrologia avrà di che alimentarsi nei prossimi tempi, con riesumazione periodica di quel cadavere, come succede quasi per tutte le morti celebri.
Ma proprio per rendergli omaggio muoviamoci per un momento al suo livello manageriale, dove naturalmente non tutto è oro ciò che luccica. Lui stesso era consapevole di aver fatto troppo poco per convertire le sue auto al sistema di alimentazione di specie elettrica, subendo un ritardo rispetto alle concorrenti soprattutto asiatiche. Questo invece, per un sostenitore a oltranza come il sottoscritto della rivoluzione elettrica propria del contempuraneo (postmoderno) è un sogno miracoloso, pensare che si possano accantonare i cosiddetti prodotti fossili (carbone e petrolio), per passare decisamente al combustibile “bianco”, non inquinante. Però c’è una questione di cui tenere conto. Si accantonino le vacue, ingenue speranze che una consistente produzione di energia elettrica si possa ricavare da pannelli solari e pale eoliche, suscettibili di fornirci solo scarse percentuali del totale del fabbisogno energetico. Al giorno d’oggi, la corrente elettrica che le auto assorbono per ricaricarsi resta in gran parte prodotta proprio a forza di idrocarburi, col che il cerchio si chiude, ricadiamo in una spirale perversa. Ma c’è la soluzione delle centrali nucleari, che funzionano tutto attorno al nostro Paese, a pochi chilometri dai nostri confini. E dunque, anche per raccogliere il proponimento integrativo che Marchione rivolgeva a se stesso, si riapra il dossier delle centrali di fissione dell’atomo, in attesa che si compia il grande passo in avanti e che si giunga a realizzarne la fusione, scongiurando definitivamnente i rischi di fuoriuscite, di fall out disastrosi.