Torno per un momento sulla questione della vittoria di Donald Trump alle elezioni statunitensi. Mi pare sempre più evidente che la ragione di quel successo è spiegabile nel nome di una ricorrenza statistica, di fronte a cui sono sprecati, o resi marginali, i vari sociologismi impiegati per tentare di rendere comprensibile quell’evento in gran parte imprevisto. Parlando con sicuri conoscitori della storia statunitense, me ne è venuta la conferma che solo una volta a un doppio mandato di un presidente di uno dei due partiti è seguito un terzo mandato di un esponente del medesimo colore, ma ciò è avvenuto nel tramando da Roosevelt, ovvero del più amato nel secolo tra tutti i presidenti USA, a un suo fedele continuatore, Truman, e nel quadro di una drammatica emergenza come era la necessità di chiudere nel modo migliore la seconda guerra mondiale. Poi, questa terza replica non si è più avverata, e dunque Hillary Clinton si è illusa di potere infrangere una simile dura legge, in cui del resto è insita la saggezza di un popolo che ha davvero nel sangue i ritmi e i rituali della democrazia, e dunque sa che dopo una lunga giacenza del corpo in una parte del letto, è opportuno farlo girare da un altro lato. Ma proprio la forza cogente di questa realtà di natura statistica ci permette di supporre che Trump avrà via libera per un biennio, senza ostacoli, ma poi anche per lui ci saranno le elezioni “midterm” delle due camere, con vittoria dei Democratici, in quanto il popolo statunitense sarà già stanco di essere sottomesso a una guida monocorde e vorrà “cambiare lato”. Da quel momento la marcia di Donald non sarà più tanto facile, come non lo è stata, ma su un versante opposto, quella di Obama.
In linea di massima, quanto viene annunciato e proclamato dal prossimo inquilino della Casa Bianca ha il volto del male, rende il sapore di scelte odiose e pericolose, per chiunque abbia “il cuore a sinistra”. Ma siamo sicuri che sia così anche per quanto concerne una certa ostilità alla globalizzazione degli scambi commerciali? In genere un pensiero di sinistra segue l’insegnamento promosso dai Papi per cui è meglio costruire ponti piuttosto che muri, ma ho già osservato più volte che non si possono aprire le frontiere per accogliere merci prodotte in Paesi in cui la mano d’opera costa la metà, o un terzo di quanto richiesto dai nostri lavoratori. In particolar modo, bisogna impedire che i nostri capitani d’industria, non coraggiosi, vadano a produrre altrove, sfruttando appunto il divario di costi orari delle maestranze, per poi reintrodurre questa merce fabbricata a poco prezzo nei nostri territori dell’Occidente, un modo sicuro per non permettere alla nostra classe operaia di andare in paradiso, bensì di condannarla all’inferno sicuro della disoccupazione. Su questo nodo dovrebbero riflettere i sindacati e pretendere l’adozione di misure di contenimento, Ovvero, qualche volta può essere opportuno alzare anche dei muri.