Ora che si è allentata la stretta del covid, riemerge in tutta la sua gravità il problema dell’immigrazione dalle coste dell’Africa. In proposito riassumo il molto che ho già detto a varie riprese proprio su questo blog. Ci sono due possibilità da ritenere infondate, impraticabili: la restituzione degli sbarcati, per i cosiddetti motivi economici, cioè per sfuggire alla fame e agli altri guai imperversanti nei Paesi d’origine. Forse questa restituzione è possibile solo verso la Tunisia, che ha un governo abbastanza regolare, ma proprio per tale ragione non si capisce perché mai taluni suoi abitanti si affidino alla via precaria del mare. In tutti gli altri casi, questi poveri immigranti si sono bruciati i vascelli alle spalle, nessuno se li riprenderebbe. L’altro mito da cancellare è che sia possibile spartire questi arrivi con gli altri Paesi europei. A questo proposito, vale una domanda, l’Europa continua a pagare il dittatore Erdogan affinché trattenga gli esuli sul fronte meridionale, salvando dalla loro invasione i Paesi dell’Est, fino alla Germania? Se è così, noi dobbiamo esigere un uguale trattamento, ci diano milioni o miliardi che ci permettano di apprestare dei contenitori a regola d’arte, e non ignobili prigioni o colabrodo i cui ospiti non vedono l’ora di evadere, e date le pessime condizioni d’accoglienza sono gli stessi custodi a favorirne l’esodo, consentendogli di invadere le nostre località o di premere convulsamente ai confini di Francia, Svizzera, Austria. Ci vogliono contenitori efficienti, intesi anche come enormi serbatoti di forza lavoro, una manna per i nostri Paesi a scarsa natalità, e anche sottoposti alla fuga dei giovani da mestieri considerati vili e degradanti. Per qualche tempo anch’io invocavo il ricorso al respingimento, cioè al divieto delle imbarcazioni di fortuna, esposte al rischio del naufragio, ad avventurarsi nelle acque internazionali. Purtroppo il guaio è che se questi disperati tentativi di fuga cadono nelle mani della flotta libica, questo pare che porti alla segregazione dei poveri fuggitivi in luoghi libici di concentramento molto simili a carceri, a lager. Ma in merito ci si può chiedere come non sia possibile all’ONU organizzare alcuni centri di raccolta sulla costa libica, presidiati da caschi blu, da forze internazionali, da cui far partire solo i contingenti che possano essere già provvisti di una destinazione lavorativa. Scartata l’ipotesi del respingimento, resta quella di una accoglienza, con una rete di navi sotto bandiera europea, o anche affidate all’iniziativa di privati, di ONG, non impediti di consentire lo sbarco, ma sottoposti all’obbligo di una pattuizione coi nostri porti, per un arrivo controllato e su misura. Col che si ricade nella ipotesi iniziale, che cioè sul nostro suolo ci siano dei centri di accoglienza come si deve, a spese dell’intera comunità europea.