Ho trascorso una settimana in Tunisia, a Sfax, penso che dirò qualcosa in merito ma con maggior tempo di riflessione. Questo rinvio non è certo per ospitare una qualche puntata sull’eterno tormentone della nostra difficoltà a formare un governo, vedo che Mattarella prosegue con indefessa determinazione sulla strada di perdere tempo con incarichi esplorativi, ritengo votati al nulla. Ma posso sfruttare in via diretta quel mio soggiorno tunisino in quanto ho avuto occasione di riprendere in mano dei quotidiani francesi, gli unici diffusi in quel Paese,in particolare il “Figaro”, che giovedì scorso 20 aprile commentava la confitta della CGT, partita lancia in resta contro le riforme proposte dal presidente Macron, ma abbandonata dalle altre confederazioni, e soprattutto dagli iscritti di un tempo. Il che come è noto succede anche per la consorella italiana, la CGIL, cui non è stato propizio abbandonare l’odiato PD di Renzi per fare causa comune con l’ancor più fallimentare LEU, cioè con i rappresentanti in apparenza legittimi di un autentico sinistrismo. Ovviamente il giornale francese, organo di destra, è ben lieto nel dover constatare la crisi del sindacato più importante di casa sua, io certo non condivido un senso di sfiducia nell’arma del sindacalismo, grande fattore generale, dall’Ottocento in poi, a difesa dei diritti del quarto stato, contro la supremazia del terzo stato borghese. Se oggi, diversamente da quanto dicono in tanti, non è legittimo dichiarare che siamo semore in regime borghese-capitalista, lo si deve proprio alla presenza della preziosa opera di tutela della controparte esercitata dai sindacati. Ciò non toglie che si debba pour denunciare, anche da noi, una evidente inadeguatezza della CGIL portata a ragionare ancora in termini di industrialismo classico, come se la classe operaia fosse ancora rappresenta dagli appartenenti alle grandi officine. Da qui la difesa arrabbiata dell’articolo 18, come se di fronte alle imprese che licenziano e chiudono non fosse ormai il governo a esercitare una quale tutela. E’ poi stato un mio chiodo fisso, da quando negli anni scorsi scrivevo sull’”Unità”, di dover esortare i sindacati a opporsi alla possibilità delle aziende di trasferire la loro attività all’estero, nei Paesi in cui la mano d’opera costa assai meno che da noi. Verso quei Paesi, del terzo mondo, è necessari frapporre dei diritti doganali in modo che le loro merci, rientrando da noi, equiparino nei costi quanto prodotto presso i nostri “vecchi parapetti”. Ma soprattutto mi pare che la CGIL, troppo presa difendere il lavoro operaio nelle sue modalità classiche, come si svolge presso le grandi imprese, si è fatta assai poco carico della difesa dei lavori saltuari, per esempio dei poveri addetti alla consegna di pizze, o di acquisti fatti in rete, che dalla centrale Amazon vicino a Piacenza devono poi essere recapitati ai domicili privati. E non mi risulta che i sindacati siano intervenuti a difesa del lavoro in nero dei poveri extra-comunitari pagati scandalosamente solo pochi euro all’ora, o nel corso di un’intera giornata. E anche contro il guaio delle morti sul lavoro, perché gli ispettori sindacali non si fanno carico di un controllo capillare delle norme di sicurezza, reagendo sia all’incuria dei padroni, sollecitati dalla prospettiva di risparmiare, sia degli stessi operai, che magari per facilitare la propria assunzione o il favore dei padroni chiudono per primi un occhio sulle garanzie loro offerte? Insomma, la CGIL, come in Francia la CGT, non pare che si siano aggiornate sulle diverse modalità che il lavoro ha assunto nelle attuali condizioni tecnologiche.