Ritornando a un mio solito “domenicale”, dopo il “lunediale” dello scorso 27 maggio, non ho che da ribadire quanto vi dicevo. Ricapitolo e rilancio.
Primo, La cosa più infausta per il nostro Paese è che i Pentastellati, per paura di nuove elezioni che per loro sarebbero rovinose, si adattino a subire l’oltracotante legge del più forte imposta dal vincitore Salvini, il quale da parte sua, finché può avere la controparte ai suoi piedi, non ha alcun interesse a promuovere nuove elezioni, che lo obbligherebbero a rifare i conti con Berlusconi. Mi sembra una pia illusione quella della Meloni di potere andare a un governo a due con la Lega.
Secondo. In genere tutti dimenticano che le elezioni di domenica scorsa hanno senza dubbio un valore di monito, rivelano le intenzioni dell’elettorato, ora come ora, il che però dovrebbe scoraggiare tutte le parti a volere nuove elezioni. Si dimentica che al momento c’è in Parlamento una possibile maggioranza Cinque stelle più Pd. Ebbene, si giunga a un contratto tra loro, non capisco perché sia Calenda sia Pisapia lo condannino, e perché un abile commentatore come Paolo Mieli, uno dei pochi che mi sembra accennare a questa via d’uscita, ritenga che prima ci voglia un passaggio elettorale. Questo, come detto sopra, sarebbe rovinoso per i Cinque stelle, e darebbe forse qualche punticino in più al Pd, ma lasciandolo fuori dai giochi.
Terzo. Io non conto niente, ma certo devo ammettere con me stesso che così mi smentisco, qualche tempo fa avevo plaudito all’”uscita” di Renzi che aveva esortato il Pd a rifiutare un tentativo di alleanza con Di Maio e compagni. Ma in quel momento saremmo stati noi lo zerbino dei Cinque stelle, che si presentavano col doppio dei nostri voti, e che per tutta la campagna elettorale avevano rovesciato tonnellate di merda nei nostri confronti. Andando indietro, peserà in un giudizio storico il male che i Cinque stelle hanno fatto, a loro stessi e al Paese, quando hanno rifiutato un dialogo con Bersani.
Quarto. Questo a parer mio utile, e anzi necessario contratto andrebbe negoziato sotto banco, altro che in pubblico, come sembrano dire alcuni stolti commentatori, proprio per vedere se regge o no. Ma i presupposti ci sono, almeno su tre punti. Una posizione di sinistra deve respingere, finché si può, la flat tax, l’abolizione della progressività dei versamenti fiscali, che mi sembra essere uno dei pilastri di una sinistra, come e dove la si voglia trovare. Inoltre si eviterebbe l’incrudelire delle leggi di sicurezza, cavallo di battaglia salviniano. IE ancora, altro punto di possibile concordia, l’abolizione dei privilegi che le regioni del Nord, ormai quasi tutte a trazione leghista, vorrebbero acquisire a danno delle parti restanti del Paese. Sbaglia il governatore Bonaccini dell’Emilia Romagna, l’unico rimasto in questa non lodevole compagnia, a volersi mettere sulla stessa strada. La TAV non potrebbe più essere questione dirimente, dato che i Cinque stelle devono pur accettare il referendum a suo favore che è venuto dalle recenti elezioni proprio dalle zone coinvolte in questa operazione.
Quinto. Si dirà che, facendo un governo coi Cinque stelle, il Pd si assumerebbe la patata bollente di raddrizzare i conti sballati proprio dall’attuale governo, ma, diciamolo con Dante, “qui si parrà la (sua) nobilitate”. Sarebbe un’impresa che ci onorerebbe, nel lodevole tentativo di salvare il Paese.