La vicenda scatenata dalla frase ormai fin troppo nota inserita nel libro di memorie di Ferruccio De Bortoli è scandalosa, e vale a dimostrare quanto è omertoso e conformista il mondo del giornalismo nostrano. In essa c’è un solo evidente e manifesto colpevole, il De Bortoli stesso, che si è comportato da giornalista di terzo ordine commettendo non so quante infrazioni contro la deontologia professionale. Non si pubblica una notizia così pericolosa ben sapendo che, se richiesti, non si sarebbe in grado di dichiararne la fonte. Non c’è dubbio che qualcuno abbia sussurrato all’orecchio dell’ex-direttore del “Corriere” la notizia fatidica, ma accompagnandola evidentemente dalla richiesta di tacerne la fonte, di non esserne coinvolto. In genere un giornalista “serio” deve accogliere questo patto, altrimenti fa solo della diffamazione, sparge zizzania. In fondo, i nostri giornalisti, questa volta non trattandosi di un cane della loro stessa razza, sono insorti contro il procuratore di Catania che ha insinuato, ma anche in quel caso dichiarandosi impossibilitato a indicare fonti precise, l’esistenza di un accordo tra alcuni degli interventi umanitari e gli scafisti, al largo delle coste libiche. Pazienza se la notizia riportata, in modo così precario e senza garanzia, fosse stata di carattere innocuo o marginale, ma De Bortoli sapeva bene che così lanciava un siluro contro la Boschi, e il passato e presente governo, di Renzi e di Gentiloni, che a turno le hanno confermato la loro fiducia. E dunque, a ragion veduta, De Bortoli ha voluto inguaiare il nemico, sì, perché Renzi ha ragioni da vendere, nel ravvisare in quell’ex-autorevole giornalista un suo avversario giurato, come lo sono stati tutti colori che hanno esortato a votare no al referendum costituzionale. Inoltre De Bortoli è fissato sull’accusa che il “cerchio magico” fiorentino renda odore di massoneria, lo aveva già detto in un fondo quando era ancora in sella alla testa del “Corriere”, anche in quel caso nascondendo subito la mano dopo aver scagliato il sasso. Ad avvalorare l’infelice uscita di De Bortoli potrebbe essere l’ex direttore generale di Unicredit, Ghizzoni, ma chi lo conosce assicura che lui è un muro di silenzio e di riservatezza, e dunque non parlerà mai, o altrimenti lo avrebbe già fatto. Quanto alla Boschi, la ministra può essere colpevole solo di spergiuro, avendo dichiarato, ora e in passato, di non essersi mai occupata di Banca Etruria, e certo la cosa sarebbe grave, passibile davvero di richiesta di dimissioni. Si sa che gli USA, più sensibili di noi in questa materia, non perdonano ai loro Presidenti di avere mentito. Invece, sembrerebbe del tutto legittimo che un membro del governo, in quel momento di crisi, avesse ritenuto utile o forse obbligatorio sondare i nostri istituti di credito “sani” chiedendogli se mai avessero potuto accollarsi i debiti dei confratelli malsani. Sondaggi di questo genere sono stati fatti da un ente superiore e neutro come la Banca d’Italia, e da un ministro in carica, allora come oggi, Del Rio. Ed era doveroso farlo, ne sarebbe venuto il salvataggio delle quattro Banche in crisi, e non solo dell’Etruria, senza danni per l’erario e col completo salvataggio dei creditori. Naturalmente, sondaggi di questa natura sono da considerarsi legittimi, se condotti al di fuori di minacce e di ricatti. Il che del resto non pare esserci stato, visto che le banche interpellate hanno risposto tutte negativamente. E dunque, riassumendo, l’esito dell’intero affaire dovrebbe essere una mozione di censura verso De Bortoli per mancato rispetto dell’etica professionale, e un controllo sulla Boschi se dovesse risultare mendace la sua dichiarazione di non essersi mai occupata della Banca Etruria.