Questo domenicale ricalca motivi da me già agitati. E’ l’ingenerosità che certi santoni, pur a parole propensi alla sinistra, continuano a dimostrare verso il Pd. Prendiamo per esempio l’elezione a segretario di Zingaretti. Preciso che io non ne sono stato un sostenitore, nelle primarie non ho votato per lui, anche perché a livello fisionomico appare una cattiva copia del fratello Luca. Ma da buon militante Pd sento ora l’obbligo di sostenerlo, mentre appunto i pensosi, a parole, partigiani della sinistra non mancano di accoglierlo con qualche sorrisetto, di tirargli le orecchie accusandolo di insufficienza. Forse il numero uno di questi falsi sostenitori della sinistra è Marco Damilano, che sta trascinando molto in basso, verso l’inutilità, l’ “Espresso” di cui ha preso la guida. Aò suo fianco si pone Antonio Padellaro, vendicativo a oltranza, che non perdona un crimine in effetti su di lui compiuto dal Pd in altri tempo, l’averlo mandato via dalla direzione dell’”Unità” per ragioni non chiare, ma così attirandosi addosso il suo astio incessante, come risulta nei soliti appuntamento con la Gruber, dove recita la parte del “giapponese”, dell’ultimo combattente a favore della causa dei Pentastellati, assieme al suo capo Travaglio, mentre da molte altre parti li si sta abbandonando. Ma, poste queste recriminazioni, resta vero che il messaggio lanciato da Zingaretti appare debole e poco incisivo. Il fatto è che il Pd deve rispondere sui due fronti che ne hanno provocato la sconfitta nello sventurato 4 marzo dell’anno scorso. Viene prima di tutto l’aver fatto molto poco per dare lavoro ai giovani, che in conseguenza lo hanno abbandonato in massa confluendo nei Cinque Stelle, e non sono certo ritornati a lui, nelle file del popolo Pd andato a votare per le primarie, tra cui io stesso, di giovani se ne vedevano ben pochi. Un’inchiesta sociologica dovrebbe indicare che si è compiuto il grande tradimento, i figli delle classi che votavano a sinistra, i quali a loro volta un tempo votavano accettando i consigli dei padri, ora sono concordi nell’esprimere un voto di protesta. Anche il mio amato Renzi ben poco ha fatto per questa causa, confidando troppo nello sgravio degli oneri fiscali concesso agli industriali italiani per indurli ad assumere. Doveva credere di più nella soluzione roosveltiana del New Deal, cioè dedicare miliardi di euro per creare posti di lavoro nella scuola, nei beni culturali, nei centri civici, nel personale paramedico. Ho ripetutamente denunciato due passi falsi dei passati governi, il non aver trovato uno sbocco professionale per i possessori di lauree del primo grado, del triennio, obbligandoli a proseguire negli studi. E poi c’è stata la stupida e insensata riforma Franceschini, che invece di creare concorsi per posti di ispettore è andata a conferire pingui contratti a pochi esperti internazionali solo allo scopo di far accedere più pubblico ai musei. L’altro limite della passata gestione Pd è di aver proceduto a una distribuzione degli immigrati, ma inserendoli di forza e in modo disorganico delle relative comunità civiche, che li hanno sentiti come un ingombro, come una minaccia. Bisognava invece impostare una politica che portasse a immetterli nelle forze di un lavoro regolare, a copertura dei tanti mestieri manuali e di basso profilo che i nostri giovani si rifiutano di fare, preferendo vivere alle spalle di padri e di nonni, o credendo di scorgere nell’elargizione proposta dai Pentastellati un comodo ripiego a una disoccupazione cronica. Gli immigrati potrebbero essere una risorsa, se inquadrati in modi regolari. In merito gravi sono anche le colpe dei sindacati di sinistra, che nulla hanno fatto in questa direzione. Voglio sperare che il Pd, in vista delle prossime tornate elettorali, si concentri su questi due enormi