Attualità

Dom. 12-4-20 (aprire)

Giovedì scorso 9 aprile si è tenuto un interessante incontro nel salotto Gruber tra quattro protagonisti, divisi due contro due a sostenere tesi diverse. Da un lato c’era un rappresentante della categoria che, se qualcuno mi segue, sa bene come io la riporti ai monatti di manzoniana memoria. Nel caso si trattava di Massimo Galli, direttore dell’ospedale Sacco di Milano, abbastanza in linea con lui risultava il ben noto opinionista di “Repubblica” Massimo Giannini. Dall’altra parte si ponevano Lucia Mattioli, vice-presidente di Confindustria, e l’anche lui ben noto al pubblico dei media Luca Telese. Questi due ultimi, con cui io concordo pienamente, ammonivano che bisogna tornare appena possibile ad “aprire”, a ripartire con le aziende e le attività produttive, altrimenti rischiamo di curare sì il cavallo, ma di farlo morire, se non per morbo, per inedia. Perché invece oso riportare Sacco, e con lui tanti altri virologi o comunque pretesi esperti in materia, come Prelasco, e l’impacciato Borrelli, e lo scostante Arcuri, alla categoria dei monatti? A prima vista, non pare proprio che ci sia nulla in comune tra quella feccia che approfittava della peste per ricattare i poveri infettati, per effettuare latrocini e altri crimini, ma soprattutto augurandosi che quel clima di sospensione di ogni legge durasse il più possibile. Naturalmente i nostri competenti sono austeri e stimati professionisti, ritengo che ricevano un congruo trattamento economico, ma il tratto che condividono con quella famigerata categoria è la speranza, anche se inconfessata, che il morbo duri il più possibile, in quanto a loro porta, se non soldi, almeno posizioni di rilievo, di prestigio, facendone delle specie di tutori dell’ordine collettivo. Il nostro premier procede con cautela, ritengo che sia stato inevitabile per lui estendere il blocco fino al 3 maggio, ma intanto ammette che certe attività possano riprender anche prima. Il Galli, fregandosi le mani di nascosto compiacimento, afferma invece che dovremo aspettare anche fine giugno, o magari andare all’autunno, e i suoi degni compari più o meno la pensano come lui. Ma non ci sono serviti in nulla, non hanno previsto la mole dei contagiati che si è abbattuta su di noi, non ci hanno detto, Borrelli e compagni, come si riesce a contare con tanta precisione il numero giornaliero dei contagiati, se non rimettendosi a una autocertificazione degli interessati, tanto, non c’è nessuno che si rechi nei vari domicili a fare tamponi in loco, e giustamente è fatto divieto di andare negli ospedali, se il coronavirus si presenta in forme leggere. Del resto, credo che si debba diffidare degli ospedali. I nostri pseudo-sapienti non hanno previsto quello che è avvenuto nelle case di riposto degli anziani, lasciati ammucchiati a infettarsi reciprocamente, il che forse spiega l’alto numero di decessi che dobbiamo lamentare. Io per quanto mi riguarda ho aderito ben volentieri all’appello lanciato da Vittorio Sgarbi per una riapertura delle mostre, per fortuna il buon senso di Conte pare che arrivi per conto suo all’apertura delle librerie. Ma, mi chiedo, come ha permesso a un suo ministro, della scuola, di formulare una dichiarazione del tutto prematura, che l’anno scolastico è terminato, che gli alunni non torneranno più sui banchi? Se dopo il 3 maggio riprenderanno le attività, i genitori a chi lasceranno i figli, gli si dovrà fornire un esercito gratuito di baby sitter? E come potranno tollerare, i bambi e gli adolescenti, una clausura prolungata, quando si sa bene che in molte famiglie non esistono i conforti delle comunicazioni skype o simili? All’inizio di tutto si diceva che esistono degli strumenti di pronta applicazione che consentono di misurare la febbre delle persone. Ci sono davvero questi congegni? Se sì, un loro uso sistematico permetterebbe di individuare rapidamente i positivi impedendogli ovviamente l’ingresso in mostre, librerie, luoghi di lavoro. In questo mio “cahier de doléances” un posticino spetta ai sindacati, che restano imperturbabili i difensori del grande numero, del lavoro operaio o impiegatizio, di coloro che, se anche stanno a casa, hanno la cassa integrazione. Ma Landini e soci non hanno capito che oggi esistono mille forme di lavoro precario, molto difficili da risarcire, a meno che il sistema non riparta. E’ comodo occuparsi degli operai in fabbrica, molto più scomodo darsi da fare per i poveri trasportatori di cibi, o raccoglitori nelle piantagioni. C’è una folla di diseredati, di precari, se si vuole di parassiti, come nel regno animale, che non mangiano se la macchina produttiva non si rimette in movimento. Ma anche le aziende, se per un fermo prolungato perdono quote di mercato e di esportazione, forse dovranno poi ricorrere a licenziamenti, con i conflitti e diatribe che ne seguiranno.

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