Trovo comico o irreale che a commento dell’impresa di Trump di andare a far fuori Soleimano si parli di un’infrazione del diritto internazionale. Come se questo resistesse di fronte al profilarsi del “diritto del più forte”, in nome della realpolitik. Ovviamente a me, come ad ogni altra persona di sinistra, l’attuale presidente USA sta molto antipatico, a differenza di Obama, oggetto della nostra adesione, ma proprio lui si è reso colpevole di una azione fuori di ogni copertura legale, quando ha mandato i marines a sopprimere un Bin Laden divenuto ormai innocuo, vivente isolato in una fattoria, oltretutto facendone scomparire il cadavere, non concedendolo alla celebrazione di un funerale riparatore. Nel che, se si vuole, ci fu pure uno spirito di saggezza pratica, se si pensa alle decine di vittime provocate nei giorni scorsi dalle solenni esequie concesse all’eroe caduto nella sua città natale. Ma c’è ben di peggio. Se pensiamo all’ONU, questa si fonda sul diritto del più forte, ovvero i cinque Stati vincitori dell’ultimo conflitto si sono arrogati poteri fondamentali, compreso quello di munirsi ampiamente di armi nucleari, ma erigendosi a inflessibili bocciatori del diritto di altri Paesi di procedere sulla medesima strada. Magari dovremmo chiederci se gli ayatolla sono stati così scondiderati, così privi di segnalazioni di pericolo da parte dei loro servizi segreti, dall’evitare al loro rappresentante il rischio di quel volo in terra incognita. O addirittura si potrebbe azzardare il ripetersi di una volontà di sbarazzarsi di qualcuno divenuto scomodo e ingombrante, al modo in cui Fidel Castro si è liberato di Che Guevara pur facendo l’atto di dargli via libera alla manifestazione delle sue migliori energie. Di realpolitik non hanno dato certo prova i nostri politici, con la stupida pretesa di insistere nell’equidistanza tra i due contendenti in Libia. Noi avevano il diritto e il dovere di portare un aiuto militare a Serraj, legittimamente insediato a Tripoli, dove ci vantiamo di tenere ancora aperta la nostra ambasciata, cosa che non faremmo mai a Bengasi. Invece “Giuseppi” ha fatto la gaffe, riconosciuta da tutti, di tentare una mediazione estrema invitando Haftar, evidente aggressore, guerrafondaio, e addirittura in anticipo sul suo rivale, che si è offeso dello sgarbo. Ora pare che ci sia un rimedio, che il legittimo esponente del governo tripolitano abbia accettato di venire, ma nell’occasione si abbandoni la nostra ormai inutile e superata politica di equidistanza tra i due blocchi, si operi una scelta, a favore del leader legittimo, che oltretutto ha dato una prova di buona volontà accettando l’armistizio proposto da Erdogan e Putin, mentre il signore della guerra, che però non riesce a concludere, ha opposto un irritante diniego.