Il “lieto fine” sulla via del condendo governo giallo-rosso, cui mi richiamavo appena qualche giorno fa, è prorogato ma, ritengo, niente affatto abolito. E’ successo che proprio Di Maio, da me lodato seppure a leva denti, si è messo di traverso, ma lo si può capire, o meglio lo avrebbe dovuto capire un fine negoziatore quale non è di sicuro lo schematico e rigido Zingaretti, magari a questo punto esentato dal sospetto di voler far fallire la trattativa. Compendiamolo, il povero Di Maio, che si sente scaricato dal mentore Grillo, e scavalcato da colui che fino a poco tempo fa sembrava solo un giocattolo, un burattino nelle sue mani, Giuseppe Conte, ora invece eretto a statista di prima forza con largo consenso internazionale. E nulla ormai lo può fermare, è bastato l’irrigidimento proprio di Di Maio, con minaccia di far fallire la trattativa, per vedere le borse scendere, lo spread salire, e nei sondaggi, non raggiunti dalla paura di una scomparsa di Conte, i Cinque stelle, proprio nel suo nome, hanno fatto un balzo in su di dieci punti. Dunque, Conte ha vinto, ma allora bisogna pure aver pietà dei vinti, è ridicolo che il Pd pretenda da parte di Di Maio una sconfessione della sua precedente attività di governo, è chiaro che lui punta i piedi, come un bambino a cui si vuole strappare di mano l’aquilone, e lo può fare perché ha ancora una forza non trascurabile in famiglia, un gruppo di fedelissimi pronti a fare quadrato attorno a lui, anche in difesa dei propri interessi. E poi c’è nell’aria la piattaforma Rousseau, cui è più che opportuno che i grillini si presentino dimostrando che non arretrano di una sola virgola rispetto al loro programma, chi li potrà bocciare? E dunque, si dia a Di Maio il sospirato posto di vice-premier, ormai di sostanza ben diversa da quella di un anno fa. Allora lui e Salvini erano i controllori del burattino Conte, del tutto nelle loro mani, ora il rapporto si è capovolto, è lui che conta, e dunque può fare il generoso, dispensare all’ex-protettore un posto onorifico, ormai destituito di un valore effettivo ma capace di recarne invece uno simbolico. Ovvero, ci vuole pure qualcuno che rappresenti il vecchio nucleo dei pentastellati, magari subito da controbilanciare con una nomina paritetica sul fronte Pd. Tanto, ormai a governare davvero, con abile capacità al compromesso, c’è lui, lo statista balzato fuori all’improvviso, quasi un nuovo Aldo Moro. E i Pd, se sono saggi, non stiano a pretendere impossibili sconfessioni, pentimenti, ma lavorino in silenzio, come si sta facendo, per stendere punti programmatici davvero consistenti. Su quel tavolo, al riparo da proclami speciosi, si potranno fare le varie concessioni reciproche che saranno inevitabili, così come nei matrimoni sta ai parenti trattare per la dote da dare ai novelli sposi.