Ho già ricordato che nei giorni scorsi ero a Bruxelles per commemorare, al nostro Istituto di cultura, la figura di Pier Vittorio Tondelli, sintetizzandola in tre momenti successivi, ognuno dei quali segna uno sviluppo rispetto alla fase precedente e apre valide prospettive ai narratori venuti dopo di lui. Nel viaggio mi sono letto l’ultimo prodotto di Paolo Di Paolo, “Una storia quasi solo s’amore”, ma se tengo fermi i parametri tondelliani, devo dire che si tratta di una prova deludente e recessiva, che nulla aggiunge agli apporti del narratore di Correggio nella sua prima fase, quella tipica dei racconti di “Altri libertini”. Anche nella vicenda svolta dal Di Paolo è di scena un “ragazzo di vita”. per carità, almeno questo merito c’è, nulla in comune con la categoria a suo tempo illustrata da Pier Paolo Pasolini, dato che lui, con totale incomprensione degli sviluppi sociologici dei tempi in cui scriveva, pretendeva di affondare nell’ambito degradato del sottoproletariato, non toccato dalla svolta economica e industriale che stava maturando. Mentre i “ragazzi di vita” dei nostri giorni si muovono al passo della attuale società, col suo benessere, la possibilità di condurre attività intellettuali di alto profilo, di possedere un’ampia informazione, e anche una buona possibilità di viaggi e trasferte all’estero. Ma il tutto si accompagna col premere di “nuove povertà”, di stenti nel tirare a campare, potendo contare su ben scarse risorse di denaro. In questo caso il “ragazzo di vita”, ma intonato ai nostri tempi, ovvero il “libertino” che però è costretto a volare basso, a tenersi lontano dagli agi e risorse di cui godevano i “Fratelli d’Italia” di Arbasino, si chiama Nino (Flaminio) Morante, ha ambizioni di alto respiro, vorrebbe essere regista o attore di teatro, ma il suo incerto stato di fortuna lo obbliga a impartire corsi di educazione allo spettacolo rivolti ad anziani dilettanti, queruli ed esigenti. In sostanza, nulla di diverso rispetto ai tristi eroi messi in campo da Tondelli. Una variante potrebbe stare nel fatto che al suo fianco c’è un’anziana signora, tale Grazia, in cui si manifesta un profilo da dirsi di “libertina” invecchiata, ora ridotta in solitudine, a confessare un suo disagio di vivere, e anche di praticare il sesso, con osservazioni che certo hanno una loro efficacia, soprattutto quando si intonano a espressioni di disgusto, di presa di distanza rispetto agli aspetti dell’erotismo. Per esempio, le albe dopo le notti di festa vedono le strade urbane invase da una moltitudine di preservativi che sono “come lumache sotto la pioggia”, inoltre, ricordando il suo primo rapporto sessuale, questa arcigna persona lo definisce simile “… a una visita dal ginecologo”. Forse vorrebbe cercare una possibile via all’affetto anche carnale col suo pupillo, ma si limita a rompergli le scatole predicandogli l’obbligo di rispettare i suoi modesti compiti, senza levate di capo, e dunque in sostanza mortificandolo nelle pretese di concedersi valide riuscite intellettuali. In un certo senso Nino si vendica di questi predicozzi infliggendo alla troppo austera protettrice una morta per lo svilupparsi del solito cancro, evento che ormai rientra tra i più frequenti nelle tristi cronache del quotidiano. Di Paolo, dicevo, fa un passo indietro rispetto al capofila Tondelli, dato che quest’ultimo, nel dare fiato alla corda dell’amore, ne svolge l’aspetto tutto sommato trasgressivo, soprattutto se dichiarato a tanta distanza da noi, della omosessualità, laddove la vicenda amorosa di Nino si svolge in modi molto più tradizionali, con una giovane, Teresa, che vuole, non vuole, si concede parcamente, anche perché pesano ancora su di lei i residui impedimenti di una educazione cattolica abbastanza tradizionale. Per fortuna, nel finale, l’Autore ha uno scatto, seppur tardivo, di orgoglio e quanto meno evita lo happy end, intanto perché fa morire la mentore, e anche Teresa mantiene in sospeso il rapporto col protagonista, limitando quindi la “storia d’amore” a subire la riserva indicata dal “quasi” presente nel titolo, il che però indebolisce ancor più le carte giocate da questo tardo continuatore, del tutto immune dai dubbi da cui invece, con piena intelligenza del mutare delle situazioni, era stato preso Tondelli. Come detto nella mia sintesi a Bruxelles, egli dopo la fase del “fatto di niente”, aveva innescato quella di una narrativa salutata da fatti grossi di trama. Invece Di Paolo indugia in una sorta di grado zero, di palude limacciosa e dilagante, da cui non riesce a emergere.
Paolo Di Paolo, “Una storia quasi solo d’amore”, Feltrinelli, pp. 171, euro 15.