Ho già notato lo strano fenomeno della scomparsa quasi totale di mostre d’arte in questo periodo, forse colpa del pessimo ex-ministro Franceschini che le aveva vietate, o forse perché costano troppo, mentre non c’è romanzo da me segnalato nella mia rubrica che non si porti dietro il suo bravo premio conseguito in qualche parte del Bel Paese. .Morale della cosa, per parlare d’arte mi devo proiettare verso l’autunno, come ho già fatto la volta scorsa parlando di un Picasso annunciato a Bruxelles. E ora posso parlare di una monografica dedicata a Elisabetta Di Maggio, annunciata al Museo Marini, sede ritornata in campo a completare l’ottima offerta d’arte che viene da Firenze, a triste riscontro con la penuria della mia città, Bologna. La Di Maggio, oggi sessantenne, io l’ho già presentata con tutti gli onori che le convengono quando facevo mostre dedicate ai giovani. Se il termine di “japonard” non fosse già stato assegnato a Bonnard, le converrebbe alla perfezione. In lei il primo spunto viene dai fiori, che raccoglie in teche, dedicando loro delle specie di ready-made, cercando poi di trovarne degli equivalenti nel suo lavoro, che è di tracciare come degli origami leggeri, o dei labirinti incantati, o di srotolare nello spazio delle piste da seguire, pronte ad avvolgersi su se stesse come dei labirinti interminabili. Il tutto privilegiando una dimensione orizzontale, che ignora l’altezza ma se ne sta schiacciata al suolo, a stendere dei tracciati già pronti per essere realizzati come favolosi pavimenti di templi, o arazzi, o tappeti, come del resto vuole l’arte del ricamo di cui la Di Maggio è ottima cucitrice e rinnovatrice, tanta è la perfezione con cui sa svolgerla, in un rilancio della decorazione, a contrastare chi la credeva ormai estinta negli anni del contemporaneo. Lei invece ne trae appunto miracoli di leggerezza, di intrico, sempre nel culto della dimensione orizzontale, come richiedono i tappeti, gli arazzi, magari da innalzare a coprire le pareti di un edificio, o anche di una abitazione privata. Infatti la sua è un’arte devota alla privacy, a miracoli di finezza da compiersi con pazienza di certosino nelle segrete stanze delle nostre dimore. Il titolo della mostra, Andature, è molto significativo, Per la Di Maggio infatti si tratta di andare sempre avanti, senza mai alzare lo sguardo dai capolavori che viene intessendo.
Elisabetta Di Maggio. Firenze, Museo Marini, dal 24 settembre al 26 ottobre, a cura di M. Cargioli e A. Nicola.