Ho seguito attentamente e con piena adesione il lavoro di Bruno di Bello nel corso dei primi anni ’70, quando era intento a prendere lettere e immagini, magari legate a grandi artisti come Paul Klee, procedendo a spezzettarle, frantumarle, farle ruotare nello spazio. A questo modo meritava anche lui di essere inserito nella mostra “La ripetizione differente” che nel ’74 tenni alla Galleria Marconi, infatti quello era pur sempre un modo di “citare” nomi e personaggi di un passato illustre riscattandoli a nuova vita. Quando poi, esattamente quarant’anni dopo, Giorgio Marconi, frattanto postosi alla testa di una Fondazione, mi ha consentito di fare un remake di quella mostra, beninteso anche Di Bello non poteva mancare, non solo, in quell’occasione fu lui a impaginare con grande abilità grafica un nuovo catalogo della manifestazione. Avrei anche potuto inserirlo in un opuscolo che feci uscire nei primi ’80 intitolato a un “Viaggio al termine della parola”, ma era dedicato più che altro a poeti ed artisti visivi che, procedendo al pari di lui, spingevano tracce di icone e di lettere fino a un estremo traguardo, fin quasi a renderle irriconoscibili. Ebbene, nel suo lavoro di questi ultimi anni anche Di Bello ha superato la soglia estrema del letterale e dell’iconico e si è affacciato sul grande golfo mistico, nello spazio cosmico dove non ci sono più residui di materialità, ma soltanto orbite, traiettorie, flussi energetici. E’ come se si fosse costituito a domicilio un enorme acceleratore di particelle sul tipo di quello esistente a Ginevra. Oppure il nostro Bruno è salito, virtualmente, su un’astronave e, affacciato a un oblò, ha contemplato un mirabile spettacolo di astri roteanti, di scie luminose descritte dal passaggio di invisibili meteoriti. Naturalmente, in tal modo ha verificato anche la reversibilità, il rovesciamento costante tra l’infinitamente grande e il microscopico, non si sa cioè se quei tracciati luminosi rispondano a una dinamica di fenomeni astrali, o se invece siano le emissioni partite da quel che rimane di minime particelle terrestri. Beninteso, da artista pur sempre legato alla visività, suo compito è stato di fissare su vaste tele questo brulichio di movimenti cosmici, trovando le giuste tecniche, anche a livello grafico. Va da sé che in questo affacciarsi sugli ultimi misteri dell’universo Di Bello ha potuto-dovuto verificare quanto i più illuminati scienziati avevano già diagnosticato, come per esempio l’asserzione emessa da Einstein secondo cui il cosmo è fondamentalmente curvilineo, in esso non trovano posto le rette, care a un astrattismo geometrico di altre stagioni che pure oggi strane tendenze di mercato vorrebbero tutelare e rilanciare. Semmai, l’unica geometria che ai nostri giorni merita di essere applicata è quella dei frattali, enunciata da Benoit Maldenbrot, con i suoi movimenti lacerati, pronti a impennate, a sterzate improvvise, a rientri su se stessi. Le ampie sale della Fondazione Marconi, dilagante nel piano terra, ci assicurano un eccellente diorama per assistere estasiati ai balletti e ritmi del dinamismo delle stelle trcciati da Di Bello, o ai sussulti dei più minuti segreti della materia, ripresa sul punto in cui cessa di essere tale e ci invita a tuffarci in un infinito liquido o aereo. Col che, come afferma anche Bruno Corà in una bella presentazione, siamo davvero in presenza di “Immagini del III° millennio”.
Bruno di Bello, Milano, Fondazione Marconi, fino al 23 gennaio.