La presenza dei romanzi di Dan Brown, con relativo successo, sta a dimostrare che esiste senza dubbio quanto viene detto para-letteratura, cioè la confezione di prodotti narrativi che si raccomandano per la scorrevolezza di trama, spingendo il lettore fino a trangugiare le centinaia di pagine e a non aver pace prima di giungere alla soluzione finale. Ma poi, il libro si accantona, e difficilmente si va a rileggerlo, se non sia per decifrare qualche passaggio rimasto oscuro. E beninteso nelle produzioni del Nostro di queste zone grigie, di questi reati contro la verosimiglianza, ce ne sono tanti. Ma poi ci sono gli aspetti accattivanti, tra cui la ricomparsa in scena di personaggi che abbiamo già apprezzato, con l’accorgimento di ripeterne i tratti, pur di inserire anche qualche opportuna variante. Questo identikit vale per una costellazione di prodotti, i “gialli”, ma anche i “phantasy”, o i “quattro passi nel delirio”, modalità che il narratore statunitense sa frequentare molto bene e amalgamare tra loro, ponendosi alla testa di una vasta schiera di concorrenti. Fenomeno non certo nuovo, basti pensare che opere del genere, legate al filone cavalleresco, erano riuscite a togliere il senno a Don Chisciotte. Noi, più fortunati, cediamo soltanto a un ricatto momentaneo, a una sbornia temporale, per poi rientrare nei panni normali,
E dunque, mi ero già divorato “Il Codice da Vinci” e il successivo “Inferno”, cui ora fa seguito “Origin”, ma con la persistenza del medesimo protagonista, Robert Langdon. E’ infatti imperativo che a condurre il gioco ci sia un personaggio dai tratti simpatici, alla mano, con qualche piccola e perdonabile limitazione, ma per il resto pieno di buon senso, di riflessi pronti. Si aggiunga che la specialità di Langdon sta nella decifrazione di simboli o acronimi e simili, facoltà molto adatta a condurre come delle tortuose cacce al tesoro, alla ricerca di qualche verità occulta. Dall’altra parte ci deve essere una figura volta a rappresentare il genio del male, colui che sta tramando una minaccia letale per il genere umano. In “Inferno” era un “cattivo” assoluto, Bertrand Zobrist, che però, ammettiamolo, aveva diagnosticato una minaccia reale per il genere umano, la sovrappopolazione, fino a escogitare una epidemia letale, la cui diffusione avrebbe fatto strage dei nostri simili, fino farli discendere a un numero sopportabile. In questo caso non c’è un “cattivo”, anzi, un essere dotato di ogni virtù, intelligenza, abilità affaristica, perfino simpatico nei suoi tratti, Edmond Kirsch, e in definitiva la sua minaccia è più accettabile, in quanto volta a darci risposte sui massimi quesiti, da dove veniamo e dove stiamo andando. Questi geni del male o del bene, è opportuno che scompaiano presto, facendosi essi stessi vittine di suicidio, per lasciare libero l’uomo “come noi”, cioè Langdon, con la sua corte dei “buoni”, a sbrigarsela in mezzo a un mare di guai, anche se il genere pretende che si giunga a un lieto fine. Una componente piacevole nei romanzi di Brown è che queste enormi, labirintiche cacce al tesoro si svolgano in genere in luoghi altamente deputati alla cultura, e in particolare alle arti visive, o almeno questo, per un frequentatore di quest’area come me, è motivo di soddisfazione, e bisogna anche ammettere che il nostro autore si informa coscienziosamente in materia, consulta a fondo le guide turistiche. In precedenza ci aveva portato con estrema competenza al Louvre, o agli Uffizi, a San Marco, qui si parte dal Museo Guggenhein di Bilbao, la maestosa costruzione di Frank Gehry. E diciamo pure che la ricognizione nelle sale di quell’edificio è condotta in modi del tutto soddisfacenti. Poi ci si porterà a Barcellona, con perfetto sfruttamento dei monumenti che vi si trovano realizzati dal genio di Gaudì, dalla Pedrera alla Sagrada Familia. Entrano sempre in scena dei poveri esseri che sono preda di lusinghe, di plagi mentali, indotti quindi ad attentare ai rappresentanti del bene, e naturalmente l’abilità del narratore suscita una ridda di sospetti. Chi sono i maligni che vogliono impedire a Kirsch di enunciare la sua tesi, tale da smentire di colpo tutte le religioni più difuse, che cioè non ci sia stato un Dio creatore, che l’evoluzione della vita sulla terra si sia svolta per forze proprie? C’è la monarchia spagnola, con un re moribondo, in cui non si ravvisano affatto i lineamenti decisionisti di Juan Carlos, mentre il principe in attesa di successione sembra davvero una copia conforme dell’attuale regnante Felipe. Ma la sua fidanzata, anche in questo caso distaccandosi dalla realtà, è una intraprendente donna in carriera, capace di porsi fattivamente a fianco dell’eroe Langdon. E ci sono alti prelati, non si sa se intenti a tramare, magari anche contro il Papa di Roma, fino a contrapporgli un antipapa. Tra le presenze più simpatiche c’è pure quella di un robot, di nome Winston, perfetto servitore del Kirsch conduttore dei giochi, perfino troppo bravo nell’eseguire alla perfezione qualsiasi incarico gli venga affidato, e questa non è certo una novità, siamo assediati, oltre che in narrativa, al cinema e alla televisione da una folla di umanoidi di questo tipo. Qui comincia anche a manifestarsi l’inferiorità di queste creazioni di para-letteratura rispetto ai campioni di una autentica creazione letteraria. Winston, con tutta la sua perfezione di servitore efficiente, è solo una stinta malacopia di una autentica progenitrice, messa in campo dal narratoe frnces Villiers de l’Isle-Adam un secolo e mezzo fa, nella sua “Eva futura”.
Ma avviamoci verso il fondo, quando alla fine l’autore è costretto a dare delle risposte, a sciogliere l’enigma. A proposito della nostra “origine”, è da apprezzare la sua difesa di una soluzione laica, aconfessionale, secondo cui la vita sarebbe nata da sé. Se non si è riusciti a riprodurre in laboratorio il passaggio da una chimica dell’inorganico alla comparsa di sostanze organiche, ciò sarebbe dovuto alla nostra incapacità di spingere l’indagine indietro nel tempo a sufficienza, ma quando avremo la possibilità di velocizzare all’estremo questa indagine, riusciremo finalmente ad assistere al miracolo, non più miracolo, di veder apparire il vivente, il biologico dall’inorganico. E dall’altra parte? Su questo punto Brown fa apparire i limiti di chi naviga nel facile continente della paraletteratura rispetto agli autentici creatori che pure si muovono entro questi filoni. La stessa velocità di proiezione che ci permetterebbe di ricostruire il passato ci consentirebbe di prevedere anche il futuro, Qui Brown ha una eccellente carta in mano, quando dichiara che si vedrebbe una macchia nera crescere a dismisura, significando la comparsa di un alieno tra noi, fino a ingigantirsi, a schiacciarci. Qui ci stava una ingegnosa una soluzione alla maniera di Lovecraft, di un’insidia, di un insetto crescente a dismisura, di un mostro gigantesco pronto a inghiottirci. Ma la soluzione di Brown si limita a vaticinare che questa minaccia altro non sarebbe se non la crescita illimitata dei robot, dell’intelligenza artificlale, del resto pronta a stringere un patto d’alleanza con noi poveri umani. Soluzione ovvia, buonista, conciliante, che ci manda a letto sereni e tranquillizzati, Ma forse non è questa la risposta che ci attendiamo da una letteratura che conti davvero.
Dan Brown, Origin, Mondadori, pp. 559. Euro 25.