Il recente romanzo di Christian Raimo, “La parte migliore”, rientra perfettamente nell’ambito di quello che Spinazzola chiamerebbe un Italian New Realism, e io un realismo con due “neo”, per distinguerlo da quello infausto di altre stagioni, Ma purtroppo nell’epiteto di “perfetto” che gli attribuisco sta il veleno, la narrazione si adatta a un simile verdetto in modi freddi e plumbei, invano vi si cercherebbe quel tratto di ironia divertita che risultava, fin dal titolo, in una prova precedente, “Tranquillo prof la richiamo”, dove protagonista era un docente ma tipicamente “imbranato”, un inetto della più bella specie, che però proprio per questa evidente sua mancanza si faceva perdonare dagli allievi, pronti anzi ad adottarlo, a fargli da sponda, a coprirlo in tutti i limiti conseguenti a un simile stato di disagio psichico. Qui invece i protagonisti sono del tutto mediani, mediocri, perfettamente rispondenti alle qualifiche, ai guai e torti che gli spettano, secondo il manuale di un vivere quotidiano, nel segno dell’attuale società che certo è in preda a “nuove povertà”, ma non senza che una residua presenza di stato assistenziale faccia una sua parte. Vediamo le varie “dramatis personae”, cominciando da Laura, una giovane non ancora maggiorenne cui le capita il guaio più prevedibile, ai nostri giorni, anche a livello di statistica, di scoprirsi cioè incinta, senza sapere bene neppure come, quando, ad opera di chi la cosa sia successa, ma anche in questo caso potremmo replicare il titolo dell’opera precedente, “Tranquilla, Laura, ci pensa lo stato sociale a risolverti il caso”. E c’è una madre, Leda, anch’essa perfettamente in regola con le statistiche attuali, cioè divisa dal marito, provvista di un nuovo compagno, occupata in un lavoro decoroso che se non le dà un pieno agio e tranquiliità economica, non la lascia neppure nelle strette del bisogno, una eventualità che il codice dei nostri giorni in genere non ammette. Dovrà occuparsi, tra un impegno e l’altro del suo lavoro, a risolvere i casi della figlia. Che del resto non resta accasciata sotto il colpo del destino, come avveniva una volta alle povere giovani che si scoprivano messe incinta loro malgrado, con le tristi soluzioni di dover ricorrere a delle mammane, o addirittura di abbandonare il figlio della colpa in qualche cassonetto. Il che, beninteso, ci dicono le cronache, succede ancora oggi, ma non è di bon ton occuparsene, oppure appunto vuol dire indietreggiare a soluzioni di vecchio e datato patetismo di altri tempi. Ora anzi l’adolescente incinta si può permettere una vita di tutto agio, non mancando di frequentare festicciole, con relative possibilità di sballo. Del resto, non è neppure del tutto assente il padre di lei, anche se abbandonato dalla moglie, e portatore di una colpa non ben precisata, per cui si è autoinflitto la punizione di stare lontano dalla figlia, ma non completamente, infatti mantiene, o tenta di riallacciare, con lei un dialogo, affidato a lettere fin troppo concettuali, ben scritte. Ma si sa, i poveri diavoli di questa scena neo-neorealista non sono degli ignoranti analfabeti, hanno pur fatto qualche studio e qualche buona lettura, Probabilmente Raimo si è avveduto di quanto fosse piatto e privo di sussulti l’andamento di questa sua narrazione, e allora ha voluto inserivi un motivo drammatico, catastrofico. Infatti sui tre membri di questo menage incombe un “vautour”, un avvoltoio, la scomparsa in tenera età di un rispettivamente figlio e fratello. Adriano, il cui ricordo incombe su di loro quasi ad ogni passi, e forse costituisce appunto “la parte migliore” della loro esistenza, anche se sommersa, virtuale, ma ossessiva, rimbalzante quasi per via onirica. Forse però era meglio che questa presenza assillante rimanesse confinata nei limiti della mediocrità che incombe sull’intera prova, meglio pensare che a sopprimere Adriano fosse stata una malattia, o un incidente d’auto. Invece, inopinatamente, e quasi in fase finale, l’autore ha deciso di dare a questa morte remota una dimensione eccezionale, ma in modi inverosimili, impropri. La famigliola, quando era ancora felicemente unita, ha avuto la visita di un parente peccaminoso, addirittura con simpatie brigatiste, portatore di una rivoltella che ha lasciato sul tavolo, consentendo a Adriano di impadronirsene e di usarla contro di sé, in un suicidio come gesto gratuito e immotivato. Evento tragico che troppo tarda a scoccare, fuori tempo massimo, anche se pretende di far avvertire la sua presenza a ritroso sull’intera vicenda.
Christian Raimo, La parte migliore, Einaudi, pp. 205, euro 18,50.