Letteratura

Celati, narratore in fuga da se stesso

Ho acquistato il denso volume delle “Narrative in fuga” in cui Gianni Celati ha raccolto le introduzioni che gli è capitato di stendere per altrettanti classici della narrativa di varie letterature e di varie epoche, senza dubbio rispondendo a stimoli esterni, a inviti occasionali, ma non senza un intimo collegamento con ragioni profonde della sua stessa scrittura. Una cui prima caratteristica è di avere sempre operato dei mutamenti vistosi. Come chiudere una stagione e aprirne un’altra, nel segno di interessi mutati, talvolta addirittura opposti. E dunque, seguire il filo di queste introduzioni consente a chi, come me, ha seguito il percorso di Celati fin dagli inizi e nelle sue metamorfosi successive, di ricostruirne lo svolgimento. A patto, beninteso, di non stare a rispettare l’ordine fittizio con cui queste “ouvertures” sono state raccolte. Ricordo bene l’emersione di Celati, che avvenne all’ultimo appuntamento del Gruppo 63, svoltosi nel ’67 a Fano. Devo ammettere che ho tentato di farlo rivivere, come sono stato capace di ottenere per quello della Spezia, consumatosi l’anno prima , nel ’66, e rilanciato un abbondante mezzo secolo dopo. Ma le attuali autorità di Fano mi hanno risposto, per entrare subito in argomento, quasi ripetendo la tipica frase di Bartleby, “preferisco di no”, anzi, ancora peggio, mi hanno insignito di un indifferente silenzio. Le sorti della narrativa, alla corte della neoavanguardia, non sono mai state molto floride, e così salutammo con vero trasporto l’invenzione stilistica di Celati, di far parlare un ragazzino un po’ giù di testa, con un linguaggio tra il balordo e lo sgrammaticato (“Le avventure del Guizzardi” e altre opere dello stesso genere). Se, come qui proposto, vogliamo associare le avventure stilistiche del Nostro a quelle di alcuni dei grandi con cui poi ha dialogato, si potrebbe dire che a quel modo conduceva un esperimento abbastanza simile alla parlata bassa, vicina allo sproloquio, magistralmente adottata da Céline. In questo caso, a vantaggio di Celati, ci può stare una inconsapevole vicinanza forse inconscia, che doveva maturare solo qualche tempo dopo nella sua coscienza critica. Ricordo in proposito che fummo concordi nel celebrare il genio linguistico céliniano convincendo “il verri” a dedicargli un numero unico, forse la sola occasione di vicinanza tra le nostre rispettive carriere, poi allontanatesi, la sua verso la gloria, la mia verso il silenzio e il nulla. Poi venne per lui una liquidazione di ”fine stagione”, si accorse cioè quanto fosse manierato, benché stimolante, il gergo primitivo del Guizzardi, e decise di abbandonarlo, professando una specie di dieta, dopo la precedente abbuffata, e venne la stagione dei “Narratori delle pianure”, invasi dalle nebbie, dalla vuotaggine della bassa padana. Se anche in questo caso vogliamo continuare nell’esercizio di abbinare a simili assunzioni stilistiche, quasi a titolo di “exergues”, la voce di qualche classico, fu davvero quella la stagione di far proprio il detto di Barthelby, il fatidico “preferisco di no”, di melvilliana discendenza, preferisco non inserire motivi di trama, non cogliere spunti ideologici di qualsivoglia natura. Gli si potrebbe anche attribuire l’intento di un Bret Easton Ellis, di adottare cioè un “less than zero”. E beninteso in questa sezione del suo laboratorio ci sta pure l’impresa di offrire una nuova traduzione dell’”Ulisses” joyciano, notoriamente un’altra operazione volta ad affrontare il vuoto spinto. Ma poi il nostro Celati si è stancato anche di questa sua fase anoressica, è stato ripreso da un conato di bulimia, e dunque in tal caso l’esempio valido, con relativa introduzione, poteva essergli fornito da Swift e dai suoi viaggi di Gulliver, che l’autore italo-inglese si è proposto di rilanciare stendendo “Fata Morgana”, passando cioè da un “troppo vuoto” a un “troppo pieno”. Ora ci possiamo chiedere se ci sarà e quale potrà essere una prossima mossa, certo a scorrere la serie di queste letture non se ne scorge il soggetto, lo stimolo, o forse siamo noi ciechi in proposito, dobbiamo attendere che la scelta celatiana prenda corpo e si palesi in pubblico.
Gianni Celati, Narrative in fuga, Quodlibet, pp. 338, euro 18.

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