E’ questo, nell’arte come in ogni altro settore, un momento di confusione estrema, propiziato dai vari mezzi di larga presa e diffusione. Si fa tanto rumore attorno a Leonardo, ma si evita di prendere in esame una mia asserzione che due suoi famosi ritratti, la “Dama con l’ermellino” e “La Belle Ferronière”, gli devono essere tolti per essere restituiti al Boltraffio. Lo stesso avviene attorno al Caravaggio, in cui nessuno si preoccupa del più grande mistero che ancora grava sul suo primo tempo, sugli anni ‘90, fino al momento in cui redasse per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo le due prime versioni del martirio di San Pietro e di San Paolo. Ci si fa scudo della insostenibile tesi di Roberto Longhi per cui il Caravaggio sarebbe stato erede dell’arte lombarda del Cinquecento, dei vari Savoldo e Romanino e Moretto da Brescia. Ma ci si chiede, come mai, andato via lui, la pittura lombarda è decaduta, non si è levato nessuno di pari potenza, forse che con abile destrezza il Merisi si era portato via tutta quella sapienza andando a impiantarla Roma? Dove invece, attraverso una serie di capolavori davvero mozzafiato, quali i Musici, il Bacchino malato, la Buona ventura, su su fino appunto alla prima redazione della “Caduta di San Paolo”, egli ha dispiegato una maniera “chiarista”, con colori smaltati, improntati a un realismo da dirsi “magico”, incantato, luminoso all’estremo. Da dove viene quella meravigliosa fucina, da chi influenzata e suggerita? Ma vengo alla visita virtuale di oggi, che mi porta alla Pinacoteca civica di Fabriano, dove si può ammirare una mostra dal titolo finalmente giusto, “La luce e i silenzi”, una perfetta endiadi valida in pieno per il primo Caravaggio romano, che ebbe accanto un perfetto compagno, per non dire allievo, in Orazio Gentileschi. A dire il vero, è proprio lui il titolare diretto della mostra in questione, autorizzata dalle sue molte deambulazioni una cui meta furono anche le Marche. Comunque, pur più anziano del Merisi (1563-1639), il Gentileschi fu pressoché l’unico a stargli a fianco in quella magnifica maniera, di colori smaltati, appunto pregni di luce e di silenzio, e dunque una stessa indagine dovrebbe riguardare entrambi questi protagonisti. Con la differenza che poi, come dicevo, a partire dal secondo momento documentato nella Cappella Cerasi, quando ha sostituito le prime versioni dei due martìri con altri dipinti, il Caravaggio ha sterzato, ha ingranato la sua maniera scura, drammatica, tragica, mentre il Gentileschi, allontanatosi da lui, ha continuato per tutta la sua pur movimentata carriera a valersi di quelle forme piene, solide, intatte, circonfuse di luce, ignorando del tutto lo stile “lacrime e sangue” del suo ormai scomparso trascinatore degli anni romani. Anzi, semmai, il Gentileschi è andato rassodando sempre più le carni, già presentendo che la vera musa ispiratrice del Seicento sarebbe stato il classicismo, più che la notte tempestosa dei caravaggeschi. Si ammirino capolavori quali “Suonatrice di Liuto”, “Il battesimo di Cristo”, “Santa Cecilia e i Santi Tiburzio e Valeriano”, con figure sempre più solide e ferme, man mano che Orazio si allontanava dal fuoco del Merisi grazie ai suoi pellegrinaggi nelle Marche, il che giustifica l’attuale mostra, e poi addirittura a Parigi, dove gli è stato possibile incontrare un caravaggesco “magico” come lui nella persona di Georges De la Tour, per finire poi a Londra, dove però nulla era pronto per raccogliere il suo messaggio forte e chiaro. Un guaio delle visite virtuali, come quelle che io sempre più spesso vengo compiendo, è che non ci si può procurare subito il catalogo relativo, dove sarei proprio desideroso di leggere se e come una delle curatrici, Anna Maria Ambrosoli, che viene fuori dal mio stesso bolognese Dipartimento delle arti visive, affronta il grande nodo storiografico cui ho accennato. Ma, disceso a valle da Cortina che ora mi ospita, avrò modo di leggere le sue senza dubbio circostanziate analisi, chissà che non contengano la giusta via per risolvere uno dei maggiori enigmi della storiografia seicentesca, cui certo non rispondono tutti i caravaggisti più o meno autorizzati che attorno a noi stanno facendo tanto rumore, assordante quanto vacuo.
La luce e i silenzi. Orazio Gentileschi e la pittura caravaggesca nelle Marche, a cura di A.M. Ambrosini e A. Delpriori, Fabriano, Pinacoteca civica, fino all’8 dicembre.