Siamo immersi in un’ondata di giallisti, roba da ricordare la stagione dei crociati e della cavalleria di cui erano ghiotti i lettori tra Tre, Quattro e Cinquecento, finché non ci fu la svolta, l’irrisione di quella tematica trita, imposta dal Don Chisciotte cervantino. Ora chi ci libererà da questa invasione? E’ lecito invocare un Nicola Ammaniti? Tra i più reputati cultori di questo clima c’è Maurizio De Giovanni, che suddivide il suo ingegno affidandolo a varie serie di detective. Io credo di averlo già detto, preferisco la serie dei Bastardi di Pizzofalcone, rispetto a quella affidata al Commissario Ricciardi, da cui proviene il Caminitodi cui vado a parlare. Perché questa preferenza? Perché I Bastardisono una formazione collettiva con tanti membri che si sorreggono bene tra loro, si passano la palla, mentre Ricciardi ha solo un compagno, il devoto Maione. E poi, non è mai opportuno allontanarsi dall’attualità, andare a veleggiare, come in questo caso nei torbidi anni del regime fascista. Naturalmente il giallo ha la sua epifania nella scoperta del o dei cadaveri, qui infatti sono due, sorpresi dai barbari assassini mentre in un prato sono intenti all’atto dell’amore, all’accoppiamento. Beninteso è subito respinta la soluzione banale del voyeurismo, del sadico che ha fatto fuori i due solo perché capaci di realizzare il coito, mentre lui ne è privato da qualche tara psichica o fisica. Si fa un po’ di fatica a trovare l’identità delle due vittime, ma infine ci si riesce, lui è un ufficiale di marina che fa la spola dall’isola di Ventotene alla Napoli dove si svolge il dramma, col sacro compito di permettere una qualche comunicazione tra i confinati dell’isola e le loro famiglie. Lei, si saprà, è una brava figlia del popolo, con tanto di genitori e fratelli. Si affaccia allora il movente di carattere politico, il baldo marinaio è stato assassinato da qualche ramo del fascismo per eliminare quel link tra gli esiliati e i loro cari? Ma anche questa sarebbe una soluzione banale, meglio tenersi fuori da motivi così impegnativi, e anche da decorsi in qualche misura prestabiliti. Del resto, attraverso i contatti che il bravo Ricciardi non manca di avere anche con le forze del regime non si tarda a scoprire che questi sanno già tutto, e solo che lo avessero voluto, avrebbero potuto interrompere quella abnorme via di comunicazione tra i confinati e i oro cari, invece avevano deciso di dare corda, di allentare la presa. Del resto, lo dicono anche le cronache di ogni giorni, in presenza dei delitti più orridi bisogna cercare in famiglia, senza andare troppo lontano. Infatti poco alla volta, al solito, si fa luce nella mente del nostro commissario, sono stati i parenti della ragazza a ucciderla, temendo gli esiti catastrofici per la loro tranquillità di vita che sarebbero scaturiti da quell’unione complicata. Resta un enigma, che c’entra quel tuffo in una lontana realtà sudamericana, espressa dal titolo, risalente a una canzone, appunto il Caminito, che una presenza in fuga dai nostri vecchi parapetti canta a ripetizione a mille miglia dal suolo nativo? Forse la mia lettura è stata troppo rapida e distratta, ma non so proprio vedere il nesso, che comunque potrebbe essere estirpato dalla vicenda, in cui non ha alcun ruolo di sostegno, Forse lo stesso De Giovanni si è accorto di quanto fosse troppo normale la sua storia e ha voluto insinuarle un pizzico di esotismo.
Maurizio De Giovanni, Caminito, Einaudi stile libero, pp. 267, euro 19-