Arte

Bonnard o Matisse?

In una Parigi non particolarmente effervescente per nuove proposte, da scoprirsi nelle numerose gallerie distribuite nel percorso dal Beaubourg alla Bastiglia, tengono il campo i grandi musei, a cominciare proprio dal Beaubourg, del resto meta principale di una mia recente visita alla Ville Lumière, giusto per afferrare in extremis il passaggio della grande esposizione dedicata a Jeff Koons. Ma ci sarebbe da parlare anche dell’altra dedicata, nella medesima sede, a Hervé Télémaque, principale esponente della Pop Art di versione francese, forse lo farò in seguito. Al momento, mi reco invece al Musée d’Orsay che mette in scena una ampia e ben condotta retrospettiva di Pierre Bonnard. Artista senza dubbio esposto innumerevoli volte, si potrebbe anche dire che non si sente un particolare bisogno di rilanciarlo, ma si dà la concomitanza con la mostra dedicata al suo eterno rivale Matisse, peraltro andandola a cogliere qui da noi, alle romane Scuderie del Quirinale. E dunque, come la mettiamo, nei confronti di questa coppia concordante-discordante? Curioso osservare quanto peso abbiano avuto gli appena due anni che li hanno divisi alla nascita, Bonnard, 1867, il che gli ha permesso di partecipare quasi sul finire alla congiuntura simbolista, con militanza nel gruppo dei Nabis, mentre Matisse, venuto appena dopo, nel 1869, salta quel passaggio, anche perché lento a mettersi in noto, ed entra subito nella situazione successiva del fauvismo- espressionismo. L’altro invece, trascinandosi dietro un collega di uguale sorte, Edouard Vuillard, ci dà un delizioso primo tempo in cui ci appare impegnato a spezzettare i dipinti con tanti motivi a scacchi, relativi ad abiti o tovaglie, o comunque decori di interni, il che gli merita di essere soprannominato il “giapponese”. Ma poi capisce che da quella riserva incantata bisogna uscire, e affrontare una fetta più ampia di mondo. Ovvero gli interni si ampliano, abbracciano pareti divisorie, porte, finestre, attraverso cui ci si può affacciare su giardini, e oltre ancora su angoli di strada, su brani di tessuto urbano. A quel punto, Matisse e Bonnard si ritrovano in una pratica comune dei medesimi temi. Ma scatta anche la diversità delle rispettive vie, Bonnard mantiene un passo analitico, o diciamo meglio, di natura corpuscolare, le varie superfici da lui stese appaiono frante, animate da un picchiettio di minute sensazioni, trascinandosi dietro un materismo che ne impaccia e ritarda le mosse. Matisse invece innesca una marcia in più, unifica, distende a larghi piani, anche se conserva pur sempre, come ho detto poco fa a proposito della sua mostra romana, certi scatti differenziali tra i vari piani. Bonnard a sua volta, non è che si consegni mani e piedi legati a un piccolo trotto, infatti, pur nell’offrici i suoi vasti spettacoli, animati anche dalla presenza degli esseri umani abitatori degli interni, sa bene come fare per scavalcare un descrittivismo troppo analitico, diciamo pure troppo “fotografico”. Infatti spegne le luci su parti dello spettacolo, che così diventano ombre, sagome quasi svuotate di materia, pronte a incastrarsi, leggere e quasi fantomatiche, nel cuore di tessuti invece pulsanti, sfavillanti. Egli insomma adotta criteri ben distinti nel trattare le diverse porzioni del suo cosmorama, il che gli consente di salvare capra e cavoli, ovvero di infilarci dentro tanti oggetti e persone e circostanze, ma componendoli in una armonia globale, c’è un posto per tutto e per tutti.
Ma in definitiva, ha ragione Matisse nella sua marcia implacabile “in togliere”, sfrondare la visione, condurla per vasti tratti? In base a un criterio “modernista”, si dovrebbe dire, e lo si è detto, e ne sono responsabile anch’io, che certo è più conveniente quella via essenziale e sintetica, rispetto al trotterellare affannato e cincischiato del concorrente. Però, forse, al modo di Matisse, non ci si affretta a consumare troppo presto l’animato spettacolo della realtà? La fotografia, coltivata assiduamente da Bonnard, come la mostra all’Orsay attesta utilmente, non ci richiama indietro, a un maggior rispetto del multiforme universo delle apparenze? Entra in questo drammatico interrogativo anche una mia minima vicenda personale, di pittorucolo ripartito di recente proprio da foto prese col cellulare cui ho tentato di ridare consistenza attraverso la pennellata e la pasta cromatica.
Pierre Bonnard, a cura di Guy Cogeval e Isabelle Cahn, Parigi, Musée d’Orsay, fino al 29 luglio, Cat. Hazan.

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