La visita virtuale di oggi si spinge non lontano da casa mia, a Modena, Galleria Antonio Verolino, Via Farini 76, che ospita fino a domani la mostra “Il capitale umano. Tra consolazione e desolazione” della coppia Bertozzi & Casoni. Niente paura per il breve termine della visibilità di questa esposizione, anch’io non ci sono andato, ora si viaggia bene attraverso Google. Del resto, è già in arrivo un’altra mostra del fertile binomio, questa volta alla Galleria civica di Ascoli Piceno, e con un titolo più in linea con il modus operandi della coppia, “Minimi avanzi”, apertura il 26 novembre. Dalla loro attività si ricavano due temi generali. Il primo è il tentativo affrontato da più parti di sfidare la natura, la realtà andando a costituirne un doppio assolutamente conforme, grazie a materiali vecchi e nuovi che non si limitano a copiarla con l’inganno visivo dell’immagine piatta, bensì con tutta l’efficacia della terza dimensione, offrendoci corpi tangibili. Sono già molti i protagonisti di questa vicenda, che in genere è stata risolta col ricorso alle nuove risorse fornite dalla tecnologia avanzata. Ed ecco allora le gommepiume di Piero Gilardi, con i suoi “tappeti natura”, ottimi e geniali nel restituirci ortaggi, brani di humus con relative coltivazioni, magari imbiancate da qualche spruzzo di neve. Però Gilardi non ha osato affrontare la sacra immagine dell’uomo, come invece ha fatto con esiti stupefacenti un artista statunitense, Dwane Hanson, ricorrendo alle fibre sintetiche, e dandoci dei duplicati perfetti di visitatori a una mostra. Un tratto differenziale è che invece Bertozzi & Casoni ricorrono a uno dei materiali più vecchi nella storia del mondo, la ceramica, ma questa nobile pasta si rivela perfettamente in grado di gareggiare con le nuove tecnologie, è duttile e plastica come loro, e soprattutto necessita dell’intervento del colore, non si concepisce una ceramica che si presenti acroma, sbiancata. Questa invece è la punizione che grava sul marmo, passato di moda, anche per i suoi costi di estrazione e trasporto. Peggio ancora il bronzo, con quel suo manto bruno assolutamente negatore di ogni piacere dell’occhio. Però, proprio in virtù di questi tanti pregi, la ceramica consente un discorso che va oltre la coppia Bertozzi & Casoni, anzi, sono soltanto loro a cercare di farne un simile uso iper-mimetico. Più esteso il numero di quanti invece ne sfruttano il potenziale originario, di essere cioè una materia magmatica, primordiale, adatta quindi alle tematiche legate all’Informale. Nell’estate 2015 a Spoleto abbiamo celebrato la gloria dello splendido artefice di terrecotte che è stato Leoncillo, a cui bisogna subito aggiungere il caso del Fontana “barocco”, come lo ha chiamato Crispolti, con le sue ceramiche frante, dardeggianti, diramate, che controbilanciano l’eccesso di rigore dell’infinita ripetizione dei “tagli”, privi delle capacità di variazione di cui la ceramica per sua natura è produttrice. Di questa vigorosa presenza di un simile materiale in una temperie informale si è fatto attento testimone attraverso alcune rassegne un critico che va ormai per la maggiore, Marco Tonelli. Ma non si può neppure dimenticare un diverso uso di questa materia quale viene praticato incessantemente da Luigi Ontani, che la restituisce a certe forme celebrative, erme, statue, mezzi busti. Si tratta di una pratica che si pone a metà strada, lontana dal brutalismo di specie informale, ma anche dalla vertigine del “tale e quale” promossa da Bertozzi & Casoni,
Venendo a loro, forse devono guardarsi da un eccesso di virtuosismo, dal compiacimento di sentirsi quasi delegati da Dio a rifare l’intera creazione. Non so per esempio se l’orso polare, clou della mostra modenese, immenso come l’animale selvaggio prigioniero in qualche gabbia di zoo, sia uno sforzo remunerativo. Forse meglio quando si danno a celebrare le minutaglie della nostra vita, per esempio, come spiega e descrive il catalogo della mostra modenese, quando il loro talento mimetico si dedica a rifare “cestini stracolmi di cartacce e lumache, pile di piatti sporchi, tubature”. E’ l’esaltazione del quotidiano, sul solco di quanto troviamo sia nel Joyce cultore delle epifanie, sia in un eroe della beat generation come Kerouac che dichiarava di avvertire l’esistenza di Dio perfino in una scatola di fagioli. I Nostri conducono la loro ricerca rendendo un omaggio integrale a tutti i prodotti di scarto, e nel modo più tangibile e reale.