Dal 2011 organizzo a Cortina d’Ampezzo, dove soggiorno nel mese d’agosto, degli incontri culturali che vengono da lontano, riprendono una bella tradizione che esisteva per lo meno dagli ultimi decenni del secolo scorso, preso il Grand Hotel Savoia, sapientemente gestito dal commendator Santino Galbiati, e sotto la regia di Ennio Rossignoli. Poi il Savoia era stato bloccato a lungo da una interminabile ristrutturazione, di cui ha approfittato la “Montagna di libri”, gestita direttamente dal Comune del capoluogo delle Dolomiti. Ma appunto noi non ci eravamo arresi e avevamo ripreso quella attività, sempre sotto la guida di Rossignoli. Purtroppo da poco egli ci ha lasciato, e dunque i cinque eventi del corrente anno sono stai posti a suo ricordo. Del resto, non è venuta meno la preziosa attività della moglie di lui, Maria Giovanna Coletti, che si è valsa molto bene della massima attrattiva del luogo di cui è stata assessore, Pieve di Cadore, località di nascita del grande Tiziano, nel cui nome ha creato una Fondazione molto attiva, che si vale soprattutto della partecipazione di un grande storico dell’arte, Bernard Aikema, olandese di nascita, quindi perfetto conoscitore dell’arte nordica, ma pronto a stabilire un ponte con quella italiana, di cui è altrettanto perfetto conoscitore, dalla cattedra tenuta all’Università di Verona, con abitazione accanto all’idolo dei suoi studi, lo stesso Tiziano, alle Fondamenta nuove di Venezia. Questa lunga premessa serve per informare che dei nostri incontri cortinesi egli rappresenta l’acme, con le sue “lezioni magistrali” che riescono sempre a fare il pieno, dovunque si tengano a Cortina. E beninteso proprio Tiziano è stato di frequente il tema di quelle conferenze, in cui il rigore scientifico si sposa con la facilità di espressione, in un italiano che non rivela più tracce della lingua d’origine. Quest’anno il tema era stimolante quanto più non si può, trattandosi di parlare della Tempesta di Giorgione. Dico subito che condivido totalmente il suo approccio a questo fatidico dipinto attorno a cui si sono depositate interpretazioni all’infinito, alla ricerca dei significati reconditi dei personaggi che vi si vedono, la zingarella discinta con in braccio un bambino, il soldato che fa da voyeur sull’altro lato di uno specchio d’acqua. In definitiva, Aikema ha fatto parlare direttamente l’arte giorgionesca, cercando accordi e consonanze con altri artisti venuti un po’ prima o in contemporanea. Oserei parlare di un approccio da fenomenologo degli stili, che è la materia che ho insegnato per decenni, avendo “in gran dispitto” iconografi e iconologi, questo per la ragione sostanziale che le idee, agli artisti del tempo, le davano gli umanisti, i letterati al seguito dei committenti, mentre i pittori ci mettevano la mano, e di questo rispondevano. Giorgione, nel magico dipinto, risponde per la sinfonia di terra, acque, muri di case imbibite di luce, per quel magnifico evento fisico che è il lampo che squarcia l’aria. Un insieme strepitoso capace di correre in avanti fin quasi a toccare la grande stagione dell’Impressionismo. Aikema ne cerca qualche consonanza soprattutto nei tedeschi che conosce tanto bene, da Altdorfer a Cranach a Durer a Bosch, da lui indagati in mostre specifiche, e ci sta anche un artista nostrano come Lorenzo Costa. A mio avviso, anche se questa è una strada giusta da percorrere, Giorgione è ancora qualcosa di più, e il conferenziere ne indica uno dei motivi accennando alla “brevitas”. Il pittore veneto è un “moderno”, che si stacca dal Quattrocento, in quanto le sue composizioni sono essenziali, fatte di pochi protagonisti, mentre gli altri sopra menzionati affollano ancora la scena di troppi personaggi, insomma, per dirla col Vasari, appartengono ancora alla “seconda maniera”. Ma proprio il sacro nome dell’autore delle Vite insinua un elemento di dubbio e di discordia, nel mio pur caloroso consenso di massima all’impostazione di Bernard. Il quale, nelle sue superbe lezioni magistrali, ha insinuato un “fil rouge” di dubbio, anzi un “fil jaune”, in quanto si tratta di mettere in discussione la stessa esistenza di Giorgione. Ma come è possibile negarla, quando, ad appena un quarantennio di distanza dalla sua morte, proprio il biografo, e fenomenologo degli stili aretino gli dedica pagine di assoluta adesione, facendone proprio un campion della “maniera moderna” alla stregua di un Leonardo, Michelangelo, Raffaello? Del resto il Vasari stesso aveva risolutamente scartato la via delle interpretazioni iconografiche. Gli era stato possibile contemplare il capolavoro estremo dell’artista veneziano, il Fondaco dei Tedeschi, prima della sua distruzione, e aveva detto l’ammirazione suscitata in lui da quel magnifico ammasso di corpi in tutte le pose, che proprio in forza della loro perfezione pittorica facevano scordare le pretese di trovarvi sensi allegorici. Insomma, lo stesso Vasari invitava ad affidarsi al responso degli occhi. Che è poi l’invito che Aikema propone anche a proposito della Tempesta. Dunque, grande attesa per quando vorrà dipanare fino in fondo il suo “fil jaune”, da negazionista nei confronti del nostro autore.